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The End Will Show Us How, i Tremonti tornano alla grande

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Dodici brani cupi, duri e sofisticati nel sesto album della band del chitarrista degli Alter Bridge. Un omaggio innovativo ai maestri del metal contemporaneo

Anziché dedicarci a lunghi (e francamente inutili) esercizi di estetica musicale, è il caso di fornire qualche cifra. Eccola: col recentissimo The End Will Show Us How (Napalm Records 2025) il cantante-chitarrista italoamericano Mark Tremonti ha raggiunto il non facile traguardo del diciottesimo album in studio in ventotto anni di carriera, iniziata coi Creed, proseguita con gli Alter Bridge, infine culminata con i Tremonti, nato come progetto solista poi trasformatosi in band.

Più un divertissment: Mark Tremonti Sings Frank Sinatra (2022), un album di cover ideato col doppio scopo di omaggiare un mito di sempre (Sinatra, appunto) e di finanziare la National Down Syndrome Society.

Ma torniamo all’ultimo album in cui i Tremonti esibiscono trovate intelligenti e una sonorità matura, grazie anche alla formazione stabilizzata, composta, oltre che dal leader, dal chitarrista e corista Eric Friedman, dal bassista Tanner Keegan e dal batterista Ryan Bennett.

La formazione attuale dei Tremonti

Il tutto ben amalgamato, come sempre, dall’ottimo lavoro di Michael Baskette, influentissimo mago della consolle nella scena rock internazionale e produttore storico, tra i vari, degli Alter Bridge, del progetto solista di Myles Kennedy e, appunto, dei Tremonti.

Il risultato di questo intenso lavoro di squadra sono dodici brani brillanti, ben strutturati e potenti, che valorizzano testi non banali, dedicati all’ambiente, ai problemi esistenziali e all’attuale dramma geopolitico che scuote varie parti del globo.

Tutto il resto può essere davvero fuffa, a partire dalle tante disquisizioni su quanto The End Will Show Us How sia derivativo rispetto alla produzione degli Alter Bridge e su quanto, invece sia debitore del post grunge dei Creed.

Le dodici gemme crudeli dei Tremonti

Un riff apparentemente scordato introduce la cadenzata e durissima The Mother, The Earth And I, che si regge sull’alternanza di un arpeggio dissonante e di riff sporchissimi, eseguiti entrambi in downtuning.

Molto convincente la doppia performace, vocale e chitarristica, del frontman, che affronta il refrain aggressivo e carico di groove e il coro arioso con determinazione ma senza eccedere (anzi: stupisce come sappia conciliare pulizia esecutiva e durezza) e si scatena in una bella parte strumentale sul finale.

La copertina di The End Will Show Us All

E la Madre Terra, a cui è dedicato il brano? Consola, forse ama ma non può dare la pace se non la si ha dentro di sé («The Mother, Earth and I, forever at peace, /The Mother, Earth and I, together are we, /The Mother, Earth and I, the solace in me»).

Groove a profusione anche nella successiva, pesantissima, One More Time, che si segnala per i richiami vagamente orientaleggianti innestati su un riffing serratissimo. Notevolissimo anche l’assolo di chitarra, costruito su frasi velocissime e cattive come metal comanda.

Quello che ci vuole per dare enfasi a un testo pieno di espressioni apocalittiche («The end of just begun /Carry us away /The ending starts today /One more time yeah, /Let there be one less trial, /The day is coming, /Will there be no survival?»).

Pesantezza e groove restano, ma cambiano le atmosfere, più orientate agli anni ’70 (quindi sia agli Alter Bridge sia a certe atmosfere post grunge) nella successiva Just Too Much, in cui Bennett rimarca con la doppia cassa i crescendo dei bridge. Perfettamente settantiano anche l’assolo che riprende la linea vocale del refrain.

Durissima e carica di atmosfere doom, Nails strizza l’occhio a un certo crossover tra metal e grunge in cui sono (stati?) maestri i Soundgarden. Il tutto appesantito dal riffing a là Pantera, che dà spessore alle melodie del refrain.

Con It’s Not Over si cambia letteralmente musica: restano pathos e intensità, ma sparisce la durezza: il pezzo è una ballad in crescendo che si regge sulla combinazione felice tra la vocalità melodiosa (ma mai sdolcinata) e di Tremonti e gli arpeggi puliti (praticamente acustici) della chitarra e sui fortissimi elettrici in cui la band si scatena nella seconda parte.

I Tremonti in azione dal vivo

Anche The End Will Show Us Now, la title track, è una ballad semiacustica, che si muove sull’alternanza tra una bella parte arpeggiata sulla dodici corde, con tanto di uso degli armonici, i cambi di tempo e i sapienti inserti elettrici, che carezzano e valorizzano come si deve la parte vocale.

Semplice e di grande effetto anche l’assolo di chitarra.

Un giro di basso tondo e vibrante apre l’ariosa e pesante Tomorrow We Will Fail, che coniuga magistralmente i richiami grunge con il new metal della band madre di Mark Tremonti.

Il metal pesante torna a farsi sentire nei riff durissimi di I’ll Take My Chances, che stempera appena il groove cupo e serrato in un coro catchy. Bello anche il break centrale dall’atmosfera un po’ meno densa, in cui il frontman si cimenta in tonalità più suadenti.

Esplosivo l’assolo che marca la parte conclusiva del brano.

Più ariosa (ma non per questo meno intensa) The Bottom parte con un giro di basso semplice ma efficacissimo e si evolve in un crescendo potente e sincopato su cui si snoda la suggestiva melodia della linea vocale. Poi un potentissimo riff porta a un coro sognante.

La combinazione tra riffing pesante (al limite del death) e atmosfere grunge caratterizza anche la drammatica Live In Fear, che si muove su un tappeto ritmico pieno di cambi e controtempi, su cui si staglia la consueta melodia fascinosa del refrain e a cui fa da cornice un bel coro ruffiano.

Ottimo l’assolo di chitarra, suonato su un cambio di tempo veloce.

Mark Tremonti sul palco (foto Simone Luchini)

Atmosfere meno pesanti e melodia più seducente in Now That I’ve Made It, che rinuncia in parte agli eccessi metal ma non al pathos.

Chiude l’album la magniloquente e sperimentale All The Wicked Things, che esordisce con efficaci inserti di synth e si sviluppa su un crescendo pieno di suggestioni prog. Fino ad arrivare al break centrale, dove Tremonti e soci, giusto per non smentirsi, cambiano musica e sparano un riff pesantissimo Pantera-style, che fa da sfondo all’assolo, incazzatissimo, della chitarra.

Il degno finale di un album degno di nota, a dir poco.

I Tremonti colpiscono ancora

Forse non è un predestinato, anche se lo svolgimento della sua carriera (non facilissima ma densa e carica di successi) può far credere benissimo che lo sia.

Tuttavia, su Mark Tremonti, soprattutto dopo l’ascolto di The End Will Show Us How, si può affermare una cosa, senza paure di smentite: è stato la classica promessa sempre mantenuta.

Dotato di buona tecnica e capace di un ottimo songwriting, il chitarrista di Detroit è autore, assieme ad altri o da solo, di una produzione di qualità costante ed elevata. D’altronde, non si viene proclamati chitarristi del decennio da un’istituzione della stampa specializzata come Guitar World per niente.

Quest’ultimo album conferma come Tramonti sia uno dei frutti più maturi di quella cultura grunge altrimenti troppo effimera.

Anzi, dimostra che il grunge ha avuto almeno una funzione: rinnovare le sonorità rock, sin troppo appiattite a fine anni ’80 sul chitarrismo ultrabrillante o, al contrario, vintage di certo metal che andava per la maggiore.

Virtuoso senza eccedere, sulle sei corde e sulle corde vocali, Mark Tremonti conferma una volta di più il suo grande talento.

Ora non resta che attendere la prossima uscita degli Alter Bridge.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale dei Tremonti

Da ascoltare (e da vedere):


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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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