Orgy Of The Damned: il grande blues secondo Slash
Undici cover di classici della black music nel sesto album solista del chitarrista dei Guns ‘N’ Roses, accompagnato per l’occasione da un cast all stars di ospiti
Diciamolo subito: Slash non è mai stato, a livello tecnico quel che si dice un chitarrista stellare. Tuttavia, grazie a uno stile robusto e riconoscibile, l’artista angloamericano è riuscito a ritagliarsi uno spazio proprio, senz’altro diverso e più forte di quello di incrocio tra Joe Perry e Jimmy Page, come si era fatto percepire ai tempi dei Guns ’N’ Roses.
Derivativo a modo suo, Slash ha un merito non proprio irrilevante: aver svecchiato le sonorità degli anni’70 per riproporle alle platee della switch generation in maniera convincente e attuale. Per capirci, senza quell’effetto revival che a volte risulta fastidioso.
Questo stesso effetto di svecchiamento, Slash lo esibisce anche nel suo grande amore musicale: il blues, a cui ha dedicato l’album Orgy Of The Damned uscito per un’etichetta che è da sola sinonimo di chitarra: Gibson.
Dodici brani, di cui undici cover di classiconi, incisi nelle pause dei tour (coi Guns ’N’ Roses e con Myles Kennedy & The Cospirators) assieme a una backing band di tutto rispetto, composta dal tastierista e polistrumentista Teddy Zig Zag Andreadis e dal bassista Johnny Griparic (entrambi provenienti dalla cover band Slash’s Blues Ball), dal batterista Michael Jerome e dal cantante-chitarrista Tash Neal.
Con loro, un cast stellare di ospiti impreziosisce tutte le tracce, grazie anche alla sapiente regia del pluripremiato produttore Mike Clink. Con queste premesse, il risultato è garantito: dodici pezzi tirati di blues dalle sonorità contemporanee, rivisto e corretto quel che basta e comunque mai snaturato.
I dodici tuffi di Slash nelle sacre acque del Delta (e non solo)
Delta blues, che c’è in abbondanza, ma non solo: anche rhythm ’n blues e funky. Roba da boomer che non dispiacerà neppure ai giovanissimi, per come è suonata.
Apre le danze The Pusher, il mini classico di Hoyt Axton, reso da Slash & co. in chiave molto heavy, decisamente di più di quanto non abbiano fatto gli Steppenwolf nel proporne una loro versione nella colonna sonora del mitico Easy Rider. Semplicemente grandiosa l’interpretazione di Chris Robinson, il frontman dei The Black Crowes, autore anche delle pregevoli parti di armonica a bocca.
Non può esistere un’antologia del blues senza il doveroso omaggio a Sua Maestà Robert Johnson. Con l’aiuto dell’ottimo Gary Clark Jr, che canta come si deve e infila anche qualche ottimo solo di chitarra, Slash offre agli ascoltatori una versione di Crossroads rivisitata quel che serve per non sembrare, da un lato, il classico compitino alla Eric Clapton né, dall’altro, la classica spacconata dei metallari che giocano a fare il blues.
La voce, più fangosa che mai, e la chitarra pastosissima e a tratti lancinante del mitico Billy Gibbons rendono Hoochie Coochie Man di Willie Dixon ultra southern.
Notevole anche l’interpretazione fornita dal pluripremiato Chris Stapleton di Oh Well, il piccolo classico scritto da Peter Green per i Fleetwood Mac.
Suoni più rock con qualche virata sull’hard per Key To The Highway, vecchia hit di Charlie Seagar reinterpretata dai Dorothy con grande efficacia.
Chi si spoglia della veste di rocker per calarsi nei panni del bluesman più trucido è Iggy Pop, che arricchisce con un’interpretazione superba Awful Dream di Lightin’ Hopkins, resa in una versione unplugged caciarona e affascinante, in cui Slash dimostra di saper maneggiare anche la dodici corde.
Paul Rodgers, veterano di prima grandezza della scena rock internazionale, offre una bella versione di Born Under A Bad Sign, di Albert King, interpretata senza strafare e resa in chiave più rock blues e meno soul dell’originale. Completano il tutto i notevoli soli di Slash, sempre efficace e sul pezzo e mai eccessivo.
Papa Was A Rolling Stone, il vecchio hit dei The Temptations è forse la vera sorpresa dell’album. Forte e credibile il restyling rock del pezzo, che forse perde un po’ della griffe Motown dell’originale a favore di un groove più marcato. Da applausi l’interpretazione della ex enfant prodige del pop Usa Demi Lovato, a suo perfetto agio Slash nelle atmosfere ultra settantiane del brano.
Grande rimpatriata in Killing Floor, il superclassico di Howlin’ Wolf. Per omaggiare come si deve tanto Maestro, Slash si è rivolto a due compari di eccezione: Brian Johnson che per un attimo scorda di essere il frontman degli Ac/Dc e si rivela convincente anche nelle timbriche più basse, e Steven Tyler, che non canta ma si riscopre ottimo armonicista e spara assoli con i controcrismi.
Ottima anche l’interpretazione di Tash Neal in Living For The City, affrontata con carisma e grinta. Soprattutto, senza alcun timore reverenziale verso l’autore dell’originale: Sua Altezza Stevie Wonder.
Altro brano, altro Maestro a cui rendere doveroso omaggio: coi suoi quasi otto minuti di durata, Stormy Monday del mitico T-Bone Walker, è il brano più lungo dell’album. A renderlo intenso come si deve è la superba interpretazione di Beth Hart, più in forma che mai e più che a suo agio nel confronto coi mostri sacri.
Chiude Metal Chestnut, l’unico inedito della raccolta: un brano strumentale concepito e interpretato con gran gusto da Slash, che fornisce una prova di bravura in perfetto equilibrio tra virtuosismo e melodia.
Orgy Of The Damned: il blues come evergreen
Forse è solo il divertissement di una rockstar che si è data al blues assieme ai suoi pari tra un concerto e l’altro.
Oppure è il tentativo di tornare alle radici in cerca di una genuinità (giocoforza) perduta dopo decenni di star system.
O, infine (e più probabilmente), tutt’e due le cose.
Orgy Of The Damned è concepito come un viaggio all’interno della black music, presa in tutte le sue numerose sfaccettature: dai padri del Delta ai loro eredi cittadini e metropolitani.
Senza grandi sforzi di fantasia, possiamo immaginare questo sesto album solista di Slash anche come la colonna sonora di uno juke joint postmoderno (magari quello raffigurato nella copertina).
Orgy Of The Damned è essenzialmente un disco fatto di emozioni. Inutile cercarvi esperimenti sonori e innovazioni.
Magari è anche un modo di avvicinare al blues chi, per motivi generazionali o per limiti culturali, non ha mai approcciato la musica nera. Ed è, magari, un modo per capire, attraverso la sensibilità di Slash, come questa musica abbia influenzato tutto quel che sarebbe venuto dopo.
Da ascoltare per tutti, imperdibile per molti.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale di Slash
Da ascoltare (e da vedere):
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