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Repubblica Romana

Femminaccie: la Repubblica Romana e le prime crocerossine della storia

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Il Comitato di soccorso sanitario, istituito dalla Repubblica Romana nel 1849 durante il durissimo scontro con le truppe francesi, precedé di cinque anni il corpo di infermiere istituito da Florence Nightingale per la guerra di Crimea (1854). Lo guidò la principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso e ottenne il plauso dei repubblicani e persino dei soldati d’oltralpe. La vicenda rivive nell’appassionante libro di Cinzia Dal Maso

È uscito nel 2023 un volume di Cinzia Dal Maso. Si intitola Femminaccie impudentissime. Infermiere volontarie e assistenza ai feriti nella difesa della Repubblica Romana del 1849, è pubblicato da Dunp Edizioni (Roma) a cura dell’Istituto internazionale di studi Giuseppe Garibaldi.

Il saggio si fregia anche dell’introduzione di Giuseppe Garibaldi junior, pronipote dell’Eroe dei Due Mondi e all’epoca direttore del suddetto Istituto, di cui Dal Maso fa parte in qualità di membro del Comitato scientifico.  

Il libro è una monografia sul servizio sanitario creato dalla repubblica romana del 1849 per assistere i feriti in battaglia.

Questa ricerca copre un piccolo buco storiografico: sebbene l’esistenza di questo servizio sanitario ed infermieristico sia sempre stata conosciuta e riconosciuta, tuttavia finora è mancato uno studio ad hoc su di esso.

Cinzia Del Maso (foto di Teresa Mancini)

Gli angeli dei moribondi: storia del Comitato di soccorso sanitario

In previsione della guerra che la Repubblica Romana avrebbe dovuto condurre per difendersi dall’inevitabile aggressione delle potenze intenzionate a restaurare il potere del papa, innanzitutto la Francia, il triumvirato che reggeva lo Stato provvisorio (Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini), stabilì la creazione d’un Comitato di soccorso sanitario.

La direzione fu affidata a padre Alessandro Gavazzi, cappellano maggiore, l’amministrazione ad una commissione formata da medici e politici, mentre la conduzione spettò a Cristina Trivulzio di Belgiojoso, una principessa della più alta aristocrazia romana di fervide convinzioni patriottiche.

Ella lanciò un appello alle donne romane affinché aiutassero ad assistere e feriti. La risposta superò le aspettative: si offrirono in moltissime, non solo romane ma di ogni parte d’Italia e alcune straniere.

Belgiojoso selezionò fra esse coloro che apparivano più adatte all’incarico e creò un servizio di 300 infermiere volontarie. Esse curarono i feriti sino alla caduta della Repubblica Romana e oltre, fino a quando, cioè, gli occupanti francesi le allontanarono.

Le infermiere volontarie ebbero forti elogi dai repubblicani, da osservatori neutrali stranieri e, persino, dai nemici francesi che furono soccorsi e curati alla pari dei combattenti italiani.

La principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso (olio su tela di Francesco Hayez (1832)

«Svergognate!»: i gesuiti e il papa contro le volontarie

Le infermiere furono invece diffamate dalla propaganda clericale con una campagna giornalistica che, riletta oggi, appare grottesca sino al surreale. Padre Antonio Bresciani, gesuita e romanziere divenuto famoso (meglio ancora: famigerato) per le sue invenzioni e deformazioni sul movimento patriottico italiano, profuse pagine e pagine per denigrare il corpo sanitario femminile della Repubblica. Infatti, descrisse le donne quali «svergognate», «che tenean luogo del demonio tentatore al capezzale di quegli infelici (alcuni morirono col perfido bacio in bocca)».

Un altro gesuita, Giuseppe Boero, in un suo libello le chiamò «un branco di femminaccie impudentissime, che sotto colore di caritatevol servigio contaminavano fino le estreme agonie de’ moribondi».

Non pago, il religioso inserì un’ipotesi psicologica stravagante, secondo cui «i bisogni di amare non soddisfatti sono fratelli carnali dell’agonia». Quindi le infermiere, a detta del molto reverendo padre Boero, erano «seducenti e acconce a destare passioni vulcaniche e desideri ardentissimi» Questo e molto scrissero i propagandisti clericali contro le volontarie L’apice (o, se si preferisce, l’abisso) lo raggiunse Pio IX che pubblicò la sua enciclica Nostis et nobiscum l’8 dicembre del 1849 mentre se ne stava in volontario e sicuro esilio a Napoli. Nel suo importante documento il pontefice inveì in termini durissimi contro l’intero movimento patriottico italiano e riservò alle infermiere romane l’epiteto di «sfacciate meretrici». Il pretesto per le contumelie e denigrazioni fu dato dall’abbigliamento delle infermiere, che sia per la calura estiva sia per avere più libertà nei movimenti si rimboccavano le maniche degli abiti, insomma avevano le braccia scoperte.

Un abbigliamento da lavoro, oggigiorno comunissimo ed in uso anche nel secolo XIX per intere classi sociali (come le contadine), nell’immaginazione papale diveniva sintomo di peccato esercitato da prostitute.

Papa Pio IX

La dura realtà degli ospedali da campo

C’è da chiedersi quali seduzioni potessero esercitare le infermiere su uomini feriti e spesso moribondi. La medicina militare, spiega Dal Maso, all’epoca era costretta a operazioni chirurgiche con seghe, coltelli, pinze, forbici. Il tutto in assenza di anestetici, al più qualche goccia di laudano. L’impiego dell’etere era appena agli inizi in Italia.

I pazienti erano legati ai tavolacci di legno od alle sedie per essere operati. La mancanza di igiene, dovuta all’assenza di conoscenze acquisite soltanto anni più tardi sui batteri, facilitava la diffusione di infezioni che l’assenza di antibiotici rendeva facilmente letali. Fu questa, ad esempio, la causa della morte di Goffredo Mameli.

Inoltre, le emorragie erano frequentissime e la prevenzione era affidata alle cauterizzazioni con ferri roventi.

Anche l’esercito francese complico questa situazione precaria: violò le leggi di guerra, bombardando gli ospedali romani nonostante avessero esposto il contrassegno in uso per indicarli (allora era una bandiera nera) e provocando ulteriori morti.

Ancora, dopo la resa della Repubblica Romana, i francesi cacciarono i feriti da alcuni degli ospedali da campo e rubarono quanto la cittadinanza aveva generosamente offerto per soccorrerli.

La copertina di Femminaccie Impudentissime

Infermiere, cappellani e non solo: i tragici primati della Repubblica

Il saggio di Del Maso è incentrato sulle infermerie, ma tocca molti altri temi: il ruolo dei cappellani militari, alcuni dei quali si esposero alle vendette dei vincitori per aver prestato assistenza religiosa ai repubblicani senza dispensa papale; il progetto di una scuola infermieristica; gli strumenti chirurgici utilizzati; gli ospedali allestiti.

Giuseppe Garibaldi junior nella prefazione ricorda fra l’altro l’impegno personale del suo bisnonno nel rincuorare i combattenti feriti: «Anche a Roma, nel 1849, nonostante le responsabilità che gravavano sulle sue spalle, la fatica negli scontri e l’organizzazione della difesa, trovava il tempo, la sera tardi, per andare a trovare i feriti, soprattutto all’ambulanza centrale, presso l’ospizio della SS. Trinità dei Pellegrini, per consolare e incoraggiare i suoi uomini nei loro letti di dolore. Quelle sue visite portavano la gioia e l’entusiasmo nelle corsie. Addirittura si dice che gli uomini, certo i più giovani, lo chiamassero papà.»

Buona parte del libro è una galleria di brevi ritratti biografici di alcune fra le donne del Comitato di soccorso sanitario.

Nella breve esperienza della Repubblica Romana di Mazzini sorse il primo corpo di infermiere volontarie al mondo, essendo di cinque anni anteriore a quello celebre organizzato da Florence Nightingale nella guerra di Crimea nel 1854, abitualmente ritenuto pioneristico nel suo ambito. Sarebbe interessante comprendere se quello romano del 1849 non abbia fornito a Nightingale spunti d’ispirazione, poiché costei fu fra le infermiere volontarie a Roma nel 1849.

Florence Nightingale

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