Concorso in magistratura, si dimette Roberto Calvo
Il commissario esaminatore, tra l’altro incompatibile col ruolo, aveva irriso la cattiva qualità di alcune prove di Diritto civile
In poche ore la notizia ha fatto il giro dei social (in particolare, dei gruppi Facebook degli aspiranti magistrati): il torinese Roberto Calvo, avvocato civilista di grido e docente di Diritto privato presso l’Università della Valle d’Aosta, si è dimesso dalla commissione esaminatrice del concorso in magistratura svoltosi lo scorso gennaio.
I motivi ufficiali delle dimissioni, rilanciate tra l’altro da alcune riviste online, non sono noti.
Al più, si può ipotizzare che siano dovute a un’altra, recente vicenda che ha riguardato Calvo.
Il professore, infatti, è stato duramente bacchettato dal popolo della rete per aver irriso attraverso il proprio profilo Facebook la scarsa qualità della lingua italiana in cui erano redatte alcune prove scritte di Diritto civile che era impegnato a correggere.
C’è da dire che, non appena esplosa la polemica, il commissario aveva rimosso i commenti dalla propria bacheca. Ma evidentemente ciò non è bastato, perché nel frattempo è emersa un’altra notizia: Calvo non avrebbe potuto far parte della commissione esaminatrice perché incompatibile ai sensi dell’articolo 6 del decreto del 21 maggio 2017, che istituiva il concorso, secondo cui non avrebbe potuto essere nominato commissario chi, negli ultimi dieci anni, fosse stato docente in una scuola di specializzazione per le professioni legali. In pratica, la situazione del professore di Torino, che aveva insegnato in una di queste scuole nel 2011.
Nato sotto la cattiva stella dello scandalo Bellomo (il giudice delle minigonne, per capirci), l’ultimo concorso in magistratura ha registrato un altro incidente di percorso, tra gli evviva di alcuni candidati e alcune richieste di annullamento, finora avanzate solo in rete.
A frittata fatta (male) è il caso di chiedersi: cosa ha fatto di tanto sbagliato Calvo? Di sicuro non doveva anticipare il proprio giudizio attraverso la rete: se è vero che alcuni candidati hanno commesso errori di sintassi e ortografia della gravità segnalata dal professore, sarebbe bastato bocciarli senza commentare troppo la presunta asineria.
Già: in casi così gravi di persone prive di alcuni fondamentali non c’è da sottilizzare troppo sulla preparazione giuridica. Anzi, non c’è diritto che tenga. Di più: a giudicare dalla sciatteria del linguaggio in cui sono redatte varie sentenze e ordinanze viene da chiedersi come mai non ci si sia soffermati prima sulla valutazione dell’aspetto grammaticale. Meglio tardi che mai. A patto di non offendere nessuno, però.
Per saperne di più:
L’articolo sulla vicenda di Roberto Calvo
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