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Concorso in magistratura, le spacconate irriverenti di un esaminatore

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Roberto Calvo ha irriso le prove di alcuni candidati: a suo dire sgrammaticati. Ma la responsabilità di questo declino è del mondo universitario da cui proviene lui

Dopo il caso Bellomo il concorso in magistratura è entrato nel mirino dei media quasi al pari di una competizione elettorale. Meglio tardi che mai, visto che questo concorso, attorno al quale prima gravava una cappa di sacralità, seleziona i membri di uno dei tre poteri dello Stato. Oggi, forse, il più importante.

Logico che ai media non scappi nulla.

Bene ha fatto Repubblica a sbandierare i comportamenti pubblici non proprio corretti di Roberto Calvo, avvocato di grido, docente di Diritto privato presso l’Università della Valle d’Aosta e membro della commissione valutatrice dell’ultimo concorso per aspiranti toghe.

Repubblica, in questo caso, ha fatto un doppio miracolo: ha garantito l’anonimato ad alcuni candidati (timorosi od omertosi fa lo stesso: «Ho paura di ritorsioni», ha dichiarato una di loro) e ha sbugiardato l’incauto e non troppo umile professore, che si era lasciato andare un po’ troppo sulla propria bacheca di Facebook a commenti pepati sulla qualità dei compiti che è impegnato a correggere.

Diciamo subito una cosa: nel merito Calvo ha ragione. Soprattutto, ha ragione a denunciare la pessima qualità dell’italiano in cui sono redatti. Ha ragione a segnalare errori marchiani, tra cui la confusione di è con e. E ha ragione anche nell’appuntarsi sulle brutture stilistiche.

Chi ha fatto un minimo di cronaca giudiziaria e si è misurato con certe ordinanze e sentenze, anche importanti, semplicemente orribili a livello stilistico, capisce dove il prof. di Torino voglia andare a parare. E approva.

Le note dolenti, anch’esse giustamente segnalate da Repubblica, sono altre: Calvo non doveva dire certe cose prima che la correzione delle tracce, di tutte le tracce, fosse finita e, a dirla tutta, non doveva essere neppure in commissione, perché in qualità di ex docente di una scuola di specializzazione per le professioni legali sarebbe dovuto essere incompatibile.

Ma il problema non è solo questo e su più punti ci permettiamo di dissentire dalla ricostruzione piuttosto garantista nei confronti dei candidati fatta da Repubblica.

È vero che il livello dei laureati si è abbassato in maniera esponenziale, in seguito all’introduzione dei sistemi a moduli didattici e dei crediti formativi, che ha licealizzato al peggio l’Università, che non dovrebbe essere un ambiente inclusivo ma selettivo (e la Costituzione, non a caso, parla di «istituzioni di alta cultura, università ed accademie»).

Non fanno eccezione i laureati in Giurisprudenza.

Ma, ciononostante, non capiamo perché Calvo si meravigli tanto. Anzi, visto che ci siamo, sarebbe il caso di chiedere anche a lui un esame di coscienza: chi è che ha fatto arrivare alla laurea persone che risultano prive dei fondamentali?

Il problema non è nuovo, tutt’altro: lo aveva documentato più di otto anni fa Stefano Livadiotti nel suo Magistrati. L’Ultracasta (Bompiani, Milano 2010). Nelle pagine di questo pamphlet piccante, il primo dedicato al mondo in toga, il giornalista de L’Espresso si soffermava anche sulla cattiva qualità media dei compiti scritti.

Più di recente, nel 2017, è esploso sui social media un altro mini scandalo, relativo alle prove scritte dell’anno precedente: alcuni candidati, che avevano esercitato il diritto d’accesso, avevano scoperto un tema scarabocchiatissimo ma nonostante tutto ritenuto idoneo per l’ammissione all’orale.

Ripetiamo la domanda: chi dovrebbe impedire agli sgrammaticati irrisi in maniera irriguardosa da Calvo di accedere al concorso in magistratura? Perché Calvo e i suoi colleghi non selezionano nella sede più opportuna, cioè nell’Università?

Qualcuno ha paragonato la spacconata del professore alle bravate che sono costate il posto a Francesco Bellomo, il giudice delle minigonne.

Per quanto azzardato, il paragone non è sbagliatissimo. Chiunque abbia fatto l’Università tra gli anni ’80 e ’90 (raccomandati a parte, si capisce) ricorderà senz’altro un ambiente dove gli abusi erano la norma e la prepotenza maleducata di alcuni vecchi docenti veniva spesso camuffata sotto le mentite spoglie della severità.

Sembra quasi che con la semplificazione dell’Università il problema si sia spostato: sparite quasi dai corridoi degli istituti accademici, le leggende metropolitane sui libretti tirati in faccia ai bocciati e sulla corruttela sessuale di alcune studentesse (ma anche di studenti, in alcuni casi) compiacenti ricompaiono negli ambienti dei concorsi pubblici.

Un segno dei tempi, evidentemente.

Ma ciò non sposta di una virgola le responsabilità di quelli come Calvo, che prima non selezionano a dovere e poi offendono.

Già: la legge consente a tutti i laureati, anche se prossimi all’analfabetismo di ritorno, di partecipare ai concorsi. Non può permettere a nessuno di insultare chicchessia.

Per saperne di più:

L’articolo di Repubblica sull’affaire Calvo

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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