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Di Fiore e l’Unità d’Italia, un anniversario indigesto

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Il giornalista del Mattino “sconsiglia” di celebrare il 160esimo anniversario dell’evento: a suo dire sarebbe una festa superficiale e il Paese ora pensa ad altro. Ha ragione: ci sono problemi più gravi di certo “revisionismo”

Suona davvero strano che Gigi Di Fiore abbia interrotto il lungo silenzio (quasi un anno) del suo blog sull’edizione online de Il Mattino con un commento sulla classica “non notizia”: il 160esimo anniversario dell’Unità d’Italia (leggi qui).

Certo, il bravo giornalista napoletano è una firma di punta del cosiddetto “revisionismo” borbonizzante ed è logico che cerchi di “beccare” l’evento, previsto per il 17 marzo, con un sufficiente margine d’anticipo.

Il giornalista Gigi Di Fiore durante un dibattito

Inoltre, Di Fiore ha un libro in promozione: l’annunciato “Rappresaglia italiana” in uscita per gli “alternativi” Marotta&Cafiero che è una riedizione de luxe del suo “Pontelandolfo 1861. Un massacro dimenticato”, un bel romanzo storico uscito nel lontano 1998.

Quindi fare un po’ di “mmuina”, come si dice nel profondo Sud, è quel che ci vuole per dare una bella botta di vita alle rotative. Nulla di strano in tutto questo: anzi, dal punto di vista del marketing editoriale, è un comportamento legittimo.

Decisamente meno condivisibile è il contenuto dell’articolo, in cui Di Fiore “sconsiglia” la celebrazione dell’anniversario: «Nel 2021 con ben altre emergenze, il disinteresse per una scadenza artefatta regna ovunque».

Fin qui il giornalista non ha tutti i torti. Ma per capire che gatta ci cova è il caso di soffermarsi su un altro passaggio del pezzo, in cui viene citato nientemeno che Eugenio Di Rienzo, professore ordinario di Storia contemporanea alla Sapienza e autore di ricerche di grande respiro e spessore: «Anche perché, passata la novità delle analisi critiche sul Risorgimento, si sta affermando quello che il sempre originale e preparato professore Eugenio Di Rienzo […] nel suo saggio “Il brigantaggio post-unitario come problema storiografico” edito da D’Amico editore, definisce tendenza neosabaudista, identificandola in un gruppo di studiosi e docenti “soprattutto nell’ambito della Società napoletana di Storia patria” con puntelli all’Università del Piemonte e all’Università di Salerno, che “rifiutando ogni contraddittorio continuano a porre l’accento sull’arretratezza del sistema finanziario, creditizio e fiscale borbonico”».

La copertina di “Rappresaglia italiana”

Al netto delle polemiche accademiche, riportate e forse “piegate” a proprio uso e consumo, Di Fiore fa capire che il clima culturale (e politico) è cambiato non poco dal 2011, quando si celebrò l’anniversario (il 150esimo) a cifra più tonda. Di sicuro non è cambiato in meglio per i “revisionisti” alla Ciano o per i giornalisti improvvisatisi storici con più o meno capacità e fortuna.

Scrive ancora l’inviato de Il Mattino: «Dieci anni fa, la vera novità furono le tesi critiche sulle modalità e gli effetti dell’unità politica dell’Italia, Non a caso fiorirono pubblicazioni su questo orientamento e i lettori, stanchi di piattezza e grigiore di analisi, ne decretarono il successo. In tutt’Italia si conobbero gli ormai noti neoborbonici, sigla che assorbiva e comprendeva tutti quelli che, riprendendo anche analisi precedenti, esprimevano rilievi su come l’Italia fu unita soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia».

È vero, il successo di queste tesi è stato notevole, ma non per i motivi che Di Fiore vuol far credere. Soprattutto, non è vero che queste tesi fossero novità: tutta la storiografia “ufficiale” sul Risorgimento traboccava, dal secondo dopoguerra in poi, di toni e analisi critiche, a volte davvero corrosive, dovute al successo del filone gramsciano e della sua componente “rivendicazionista”, che divenne predominante in molta storiografia e in parecchi ambienti di sinistra.

La vera novità fu il passaggio di queste tesi nel mainstream, grazie alla fortuna dei libri di Pino Aprile, di Lorenzo Del Boca, di Lino Patruno e via discorrendo.

Pino Aprile col suo inseparabile cappellino mentre addita
Pino Aprile

Questo successo fu propiziato da due fattori: innanzitutto, l’abbassamento del livello culturale del pubblico, in seconda battuta, il malessere del Paese (e del Sud in particolare), travolto dalla crisi finanziaria iniziata nel 2008.

Un mix micidiale, che tuttavia ha avuto una sua utilità: ha costretto il mondo accademico a reagire con un’imponente (e inedita) attività di scavo negli archivi per rimettere le cose in chiaro. È difficile, al riguardo, definire “neosabaudisti” i lavori di Alessandro Barbero, Renata De Lorenzo, Paolo Macry, Salvatore Lupo e Carmine Pinto (gli storici a cui allude Di Fiore): in nessun caso manca la lettura critica, ma questa lettura non autorizza le conclusioni, sostenute in maniera più o meno esplicita dai “revisionisti”, secondo cui l’Unità d’Italia sarebbe stata una iattura per il Sud.

La verità è più banale: i professionisti della storia si sono ripresi i loro spazi e del dibattito “revisionista” è rimasto poco.

Già: dieci anni non passano mai invano e consentono di tracciare un bilancio. E c’è da dire che il piatto non pende proprio dalla parte dei “revisionisti”.

Innanzitutto, perché tutte le loro tesi-chiave sono state smantellate o non hanno attecchito. Ad esempio, è stata smantellata a dismisura la tesi dell’eccidio di Pontelandolfo; è stata smantellata, inoltre, la tesi del presunto genocidio a danno del Sud; è stata smantellata, ancora, la tesi sul “massacro” garibaldino di Bronte; è stata messa, ancora, in discussione (e con rara efficacia) la lettura gramsciana del brigantaggio riciclata dai neoborbonici; in particolare, è stato confutato l’assunto secondo cui l’amministrazione accentrata “alla piemontese” avrebbe fatto regredire il Sud.

Alessandro Barbero

A livello pratico, cioè politico, le cose sono andate anche peggio: è finito in nulla il processo intentato da una pattuglia di neoborb contro il Museo Lombroso di Torino; altrettanto in nulla è finita l’idea di un “giorno della memoria per le vittime del Risorgimento”, proposta a tutte le forze politiche, specie al Sud; e, tranne qualche sfogo nella toponomastica, è praticamente evaporata anche la carica iconosclasta dei “sudisti”, che volevano eliminare ogni riferimento all’epopea risorgimentale dalle strade e dai monumenti pubblici.

In compenso, la nascita di movimenti politici di ispirazione “sudista”, tra cui il Movimento 24 agosto-Equità territoriale di Pino Aprile, non sembra un segnale di salute di quest’ambiente. Al contrario, tutto lascia pensare che la discesa in campo di alcuni “revisionisti” sia rivelatrice di come la politica “ufficiale”, incluso lo stato maggiore grillino, abbia smesso di prendere sul serio certe proposte.

Infine, si sono ridotti anche gli spazi sui media ufficiali e tutto si sta riducendo ai social.

Ecco le cose che sono cambiate.

Di Fiore ha ragione nel dire che il Paese ha altre emergenze. Ma di sicuro ha ragione anche chi sostiene che in queste “nuove” celebrazioni, che si svolgerebbero senz’altro sottotono, i neoborb sarebbero marginali.

E non occorre troppa malignità per capire che anche le vendite di certi titoli non siano più quelle di dieci anni fa.

Insomma, riflusso totale o quasi, tranne i pochi elettori che voteranno i “sudisti” alle prossime amministrative.

«Meglio non celebrare, che celebrare male e con superficiale retorica», conclude Di Fiore. E su questo punto siamo solidali con lui: forse ci sarà retorica e questa retorica sarà superficiale. Ma di sicuro il controcanto neoborb sarà più sfiatato e meno ascoltato. È vero: l’Italia ha altre priorità e certi business editoriali sono finiti. Andate in pace.

Saverio Paletta

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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