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We Are Not Your Kind, il ritorno furibondo degli Slipknot

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La band americana colpisce ancora duro con un album violento e vario, in cui il nu metal si rigenera nel segno dell’estremismo sonoro

We Are Not Your Kind, recitava un verso di All Out Life, il singolo che nel 2018 segnalò al mondo che non solo gli Slipknot non erano morti ma si preparavano a riapparire alla grande.

La band dell’Iowa è stata di parola, a dispetto delle rogne legali (la diatriba tra l’ex percussionista Chris Fenn e il resto della band, finita in Tribunale e tutt’ora sub judice) e delle tragedie (la morte prematura di Gabrielle Crawn, la figlia di Shawn, percussionista e membro fondatore).

Gli Slipknot

Ed ecco che We Are Not Your Kind, da coro di un singolo diventa il titolo dell’ultimo, recentissimo album di una delle metal band più eccessive, trasgressive ed eclettiche della scena rock, uscito per le storica Roadrunner.

Un ritorno importante, dopo cinque anni di assenza dal mercato. Soprattutto, un ritorno valido, in cui i trucidoni mascherati mescolano con una certa abilità la violenza sonora estrema del passato con le elaborazioni melodiche degli ultimi due episodi discografici (cioè All Hope Is Gone e 5: The Grey Chapter).

La formazione, come al solito, è consistentissima, quasi una formazione da camera perversa: accanto agli storici Shawn Crawn (percussioni e voce), Corey Taylor (voce solista), Craig Jones (campionatori e tastiere), ai chitarristi Mick Thomson e Jim Root e al dj Sid Wilson, continuano a militare il bassista Alessandro Venturella e il batterista Jay Weinberg e si è unito la scorsa estate l’enigmatico percussionista Tortilla Man.

Il risultato è di altrettanto spessore, sonoro e artistico: un concentrato di estremismo musicale, tecnicismo e varietà in perfetto equilibrio, complice la produzione curata da Greg Fidelman assieme alla stessa band.

Il minuto e mezzo di Insert Coin, che cita sfacciatamente i vecchi videogame da bar e gli attualissimi videopoker, è un’introduzione straniante: su un tappeto di dissonanze elettroniche la voce distorta di Taylor recita un verso agghiacciante («Conterò tutti gli assassini»).

La copertina di We Are Not Your Kind

Poi, in omaggio a un trucchetto consolidato nella storia del rock, le dissonanze elettroniche sfumano e conducono all’open track Unsainted, che è una piccola sorpresa nella produzione della band: un coro angelico (eseguito dall’Angel City Chorale) apre un ottimo pezzo nu metal, in cui il frontman alterna il suo growl con un coro cantato in maniera pulita (e convincente), in linea con le più recenti tendenze del metalcore.

Ottima la prova d’assieme dell’ottetto, che esibisce una grande compattezza nei sofisticati cambi di tempo. Da applausi la performance di Weinberg, autore di ottimi numeri con la doppia cassa.

Un altro tappeto di effetti elettronici introduce Birth Of The Cruel, in cui lo schema compositivo degli Slipknot sembra invertirsi: stavolta il refrain è melodico, una nenia in bilico tra neopsichedelia e nu metal e il coro è un rap metal urlato in growl su un riff sinistro e doom.

Death Because Of Death è un interludio maligno e allucinato: una nenia ripetuta ossessivamente su un tappeto elettronico carico di rumori bianchi e di glitch. Per fortuna, dura solo un minuto e mezzo.

Quel che basta per introdurre la notevole Nero Forte, una composizione di metal estremo carica di groove e debitrice della migliore tradizione death e trash metal. Ottimo lo schema compositivo, in cui un refrain pesantissimo e cantato in stile rapcore si alterna a un coro melodico contrappuntato dai growl di Taylor.

Sulla stessa linea la seguente Critical Darling, che tuttavia spinge ancor più sui due estremi sonori (refrain rappato e violento e coro melodico e arioso) ma con un maggior dinamismo ritmico. Da segnalare l’interludio lento e ipnotico, in cui il tappeto elettronico crea un’atmosfera tesa e allucinata: pochi attimi di pausa prima della sfuriata finale. Da applausi il bridge retto dalla doppia cassa in controtempo.

Un dettaglio dello stage spettacolare degli Slipknot

A Liar’s Funeral è un gioiellino oscuro pieno di citazioni sabbathiane. Bella la parte introduttiva, caratterizzata da una dolcezza inedita per la band, ai limiti della ballad. Notevole il crescendo oscuro, praticamente doom, interpretato da Taylor con la solita violenza canora.

A proposito di violenza, non è proprio da sottovalutare il mix di elettronica e riff violenti su cui si regge Red Flag, altro pugno in faccia (e soprattutto nelle orecchie) dell’ascoltatore.

I cinquanta e rotti secondi di What’s Next sono un interludio in forma di ninna nanna perversa, con sottofondo di chitarra acustica, tastiere a mo’ di carillon e una melodia appena accennata.

Una valida introduzione al minimalismo inquietante e ai tempi dispari di Spiders, in cui l’elettronica spadroneggia alla grande con citazioni post rock e accenni neopsichedelici.

Gli effetti elettronici diventano ancora più stranianti nella parte introduttiva di Orphan, che tuttavia si sviluppa nel segno dell’estremismo musicale più trucido, a cavallo tra thrash, death e metalcore. Da applausi la compattezza della band e la prestazione del frontman, che dà prova di grande versatilità nel combinare tutti i propri registri: dal growl al melodico passando per il consueto rap.

Gli Slipknot in azione sul palco

La lenta e melodica (ma non per questo romantica e innocua) My Pain è una bella pausa nel marasma. Ma lentezza e melodia, tra l’altro assai evocative, hanno poco a che fare col romanticismo: semmai creano un’atmosfera depressa e un po’ claustrofobica, in linea con la poetica disturbante degli Slipknot.

Un ottimo preludio alla tragica Not Long Of This World, caratterizzata da una linea melodica aggressiva e da un crescendo potentissimo.

Chiude la manierata Solway Firth, in cui la violenza sonora dell’ottetto è addomesticata in un metalcore canonico, calibrato sulle esigenze dei media mainstream: non a caso, il pezzo fa parte della serie The Boyz distribuita da Amazon Prime.

Resta fuori dall’album (ma è recuperata come bonus track nell’edizione giapponese dell’album) la canzone-prequel All Out Life.

A dispetto della faciloneria di certa critica, We Are Not Your Kind è un ritorno in grande stile, duro cattivo e potente.

Merito forse di una scelta equilibrata, in cui la parsimonia non è un difetto: gli Slipknot non hanno prodotto tanto (infatti, Wanyk è il sesto album in studio in circa venti anni di carriera), ma hanno preferito concentrarsi sulla qualità e preservare la propria integrità artistica, con una coerenza rara anche nei puristi del metal più estremo.

E di quest’attitudine si è accorto soprattutto il pubblico, che ha premiato l’album con risultati di classifica più che lusinghieri sui due versanti dell’Oceano.

Fidatevi: We Are Not Your Kind vale più di un ascolto attento.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale degli Slipknot

Il fansite degli Slipknot

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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