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Psichedelia italiana made in Germany

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Francesco Aloe è partito dalla musica popolare calabrese. Ora sbanca le classifiche indie europee

Dalla Calabria alla Foresta Nera, sola andata. Francesco Aloe, one man band dei Phauba («È una specie di anagramma tra il mio nome e quello di mia moglie», spiega) ha iniziato a sperimentare da subito. E, tra una sperimentazione e l’altra, è approdato al suo progetto, previsto per febbraio: Quando Phauba era scimmia, un concept album che, per la bizzarria della storia, che ricorda un po’ i Gong più canterburiani e i francesi Magma. È il minimo sindacale, assieme a Il Vangelo secondo Phauba(2016), secondo album di Aloe e primo come Phauba e all’esordio solista Desiderio d’argento (2015), perché l’artista calabro-tedesco venisse prima menzionato in Solchi Sperimentali Italia, il volume dedicato dal critico toscano Antonello Cresti alla scena underground nazionale, e poi inserito nell’omonimo progetto multimediale che vedrà la luce da qui a poco. Eppure la storia del musicista di Rossano non è recente. Anzi.

Dalla Calabria, in particolare da Rossano, alla Germania. Fin qui la tua non è una storia desueta per un calabrese, specie se si considera che in molti dalla costa jonica si sono trasferiti in Germania da vari decenni.

Io mi sono trasferito nel 2001. Ero andato lì a fare due concerti assieme un collega che, come me, suonava musica popolare. Io sono rimasto.

Phauba, come hai spiegato, è un anagramma tra le tue iniziali e quelle di tua moglie. Come mai questa scelta, visto che fino al 2015, invece, firmavi i tuoi prodotti a tuo nome?

Niente di artistoide dietro questa decisione: alla Gema [la Siae tedesca, Nda] mi avevano detto che si era già registrato un altro Francesco Aloe e allora ho scelto il nome d’arte che mi piaceva di più.

Come altri artisti indipendenti, hai fondato una tua etichetta, la Black Forest Anomalie.

Inutile spiegare i motivi di questa decisione, che sono simili a quelli di tanti altri colleghi della scena indie: volevo essere il più possibile autonomo nelle mie scelte e sottoporre le mie idee direttamente al pubblico senza alcun filtro.

Eppure qualche successo l’hai avuto, finora.

Come artista indipendente non posso lamentarmi: Il Vangelo secondo Phauba si è piazzato bene nelle classifiche europee di musica indipendente ed ha ottenuto l’Euro Indie Music Chart Awards, sono rimasto nella top ten europea di musica indipendente per 28 settimane e la mia etichetta è considerata tra le migliori 5 della scena indie. Non mi pare pochissimo.

Come hai iniziato?

Le mie influenze risalgono al rock e alla new wave anni ’80. Tra le mie ispirazioni annovero David Sylvian, Nick Cave e i Japan, più artisti italiani come Andrea Chimenti e i Cccp. Ho iniziato non solo come musicista ma anche come scrittore: ho pubblicato, quando ancora vivevo in Calabria, dei racconti e mi sono dedicato al teatro. A fine anni ’90 ho fondato gli Skarika Kanali, un gruppo di musica popolare con influenze gotiche che ha composto ed eseguito brani in dialetto calabrese. Quest’esperienza si è evoluta in Redambula, un progetto musicale di ispirazione completamente popolare. Arrivato in Germania, ho abbandonato la musica popolare in favore del rock alternativo. Poi ho sospeso la musica per dedicarmi alla pittura e ho ripreso nel 2014. Ed eccomi qui.

Come definiresti il tuo genere?

Psichedelia. Suono da solo, creo la mia musica con due campionatori e con le mie chitarre, una Fender Stratocaster e una Gibson Les Paul, a cui sono affezionatissimo. Grazie all’elettronica e al web ho piena libertà di suonare e sperimentare.

Ci sono altri artisti calabresi che hanno avuto un’evoluzione particolare: mi riferisco a Parto delle Nuvole Pesanti, che tra l’altro sono dalle tue parti, e a Sabatum Quartet.

Sono esperienze diverse. Io mi sono evoluto ed emancipato dalle mie radici popolari, senza tuttavia rinnegarle. Ho fatto una scelta di campo totale scegliendo di vivere in Germania e di aprirmi a un orizzonte europeo, anche a livello musicale.

Anche tu partecipi a Solchi Sperimentali Italia

La considero un’iniziativa importante, a cui contribuisco con un’improvvisazione di un minuto e un’autointervista. Mi ha contattato Cresti, col quale c’è un rapporto di reciproca stima, un anno e mezzo fa ed io ho aderito.

Il tuo legame con la Calabria?

Come quello di tutti i calabresi che fanno parte della seconda ondata migratoria, iniziata col nuovo millennio: gli affetti e i legami restano forti, ci mancherebbe. Ma in tanti siamo andati via non solo per un bisogno di sopravvivenza ma anche perché volevamo realizzare le nostre idee e i nostri bisogni alti in ambienti più idonei. Io ritorno ogni estate, ma quando rientro in Germania sono sempre nervoso perché sono costretto a fare i paragoni tra ciò che ho lasciato e la mia vita attuale e, purtroppo, non sono tante le cose che mi fanno pentire di questa mia scelta.

(a cura di Saverio Paletta)

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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