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L’avvertimento, quando Damiani raccontò gli scandali bancari

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Ultimo film del regista friulano prima de La Piovra. Pesanti le allusioni a Michele Sindona, che all’epoca era ancora vivo e potente

«Ma i tu i carrarmati ce li hai?», chiede il commissario Antonio Barresi (un ottimo Giuliano Gemma) al suo superiore e amico Vincenzo Laganà (il bravo attore e doppiatore Franco Odoardi, noto anche come voce italiana di Morgan Freeman). «Vorresti arrestare Giorgio Massimiliano il finaziere? Massimiliano vuol dire tangenti, speculazioni, colpi di Stato, petrodollari, tu sei un povero commissario… ma qualcuno ti ha dato il via libera dall’alto? Qualche politico?». «Macché politico… io sono un isolato». «Nessuna copertura? Ma allora, qual è la ragione per un rischio simile?». «Così mi sento vivo».

Laganà sarà ucciso nella scena successiva da un commando di killer travestiti da poliziotti mentre cerca di interrogare l’avvocato Milanesi (il caratterista Giordano Falzoni), testimone chiave dei loschi traffici di Massimiliano (l’americano Mike Morris, attivissimo nel cinema di genere italiano, perlopiù in ruoli da vilain).

Ma c’è dell’altro: poco prima Barresi ha ricevuto un avvertimento, cioè una tangente di cento milioni (di lire…) sul suo conto corrente.

È l’intreccio de L’avvertimento (1980), un giallone coi fiocchi di Damiano Damiani, che sarebbe poi passato all’horror prima di approdare alla tv con la prima seria de La Piovra.

Scritto assieme all’ex giornalista siciliano Nicola Badalucco, al ciociaro Dino Maiuri (che veniva da un’esperienza importante con Totò ed Eduardo De Filippo) e al romano Massimo De Rita, il film riprende con coerenza i tratti salienti della cinematografia di Damiani: il rapporto tra potere e corruzione, l’equilibrio tra le esigenze di cassetta, l’impegno sociale e la griffe autorale e l’intreccio sofisticato, che eleva i film del cineasta friulano ail classico gradino in più rispetto ai polizieschi italiani dell’epoca e che si riallaccia sempre ai casi salienti della cronaca.

Al riguardo, non è un caso che, quando uscì L’Avvertimento, lo scandalo del Banco Ambrosiano era alle sue prime battute: c’era già scappato il primo morto eccellente (il giudice Emilio Alessandrini, ucciso da un commando di terroristi rossi) ed emergevano i primi, pesanti sospetti a carico del sistema finanziario italiano. Certo, ancora non era emersa la P2 e Roberto Calvi era vivo e vegeto, ma sulla figura di Michele Sindona c’era già più d’un ombra.

E che Damiani alluda a Sindona ci sono pochi dubbi: sia per la somiglianza di Mike Morris col finanziere messinese, sia per una perfida citazione nella sequenza finale del film, dove un’orchestra suona una versione raffinata di Vitti ’na crozza durante un ricevimento.

Anche l’ambientazione romana del film, in cui più di un critico ha voluto vedere un omaggio del regista alla celebre metafora di Sciascia sulla linea della palma che sale (cioè la progressiva espansione del metodi mafiosi a tutto il Paese), è un’allusione al potere puro e perverso della finanza, che si nutre dell’eleganza estrema degli ambienti metropolitani.

No, in L’Avvertimento, non ci sono mezze tacche di mafiosi. I cattivi sono tutti d’alto rango, uno peggiore dell’altro. Quello messo peggio è il giornalista Gianfranco Puma (il bravissimo attore pirandelliano Guido Leontini), che tenta di fare da intermediario tra Barresi e gli aspiranti corruttori. Anche in questo caso, traspare la diffidenza e l’astio del grande regista nei confronti del giornalismo, che lo ricambiò con critiche a volte feroci e comunque immeritate, le cui motivazioni erano soprattutto corporative.

Questi cattivi sono capaci di ammazzare, eccome: non esitano a trucidare gli aiutanti di Barresi e due testimoni chiave dell’inchiesta e a creare truci messinscene.

Ma torniamo alla trama. Al riguardo, non può passare in secondo piano l’altro protagonista del film: il questore Martorana (un notevole Mel Ferrer, altro volto noto del cinema di Damiani). Questi, in prima battuta viene presentato come antagonista di Barresi: sospetta di lui e ne è ricambiato. Fino al colpo di scena finale, in cui i due capiscono di essere vittime di un equivoco su cui i cattivi hanno marciato ad arte.

Notevole anche la figura di Silvia, la vedova del commissario Laganà (interpretata dalla brava e sensuale Laura Trotter): è una donna fragile e piena di rimorsi perché si è lasciata circuire e corrompere da quegli stessi ambienti a cui il marito aveva resistito.

Non mancano, come in ogni giallo che si rispetti, i tentativi di depistaggio. Ma sono gestiti con tanta eleganza e senso del ritmo, letteralmente sciolti nel narrato, da non sembrare forzati a bella posta.

Ci fermiamo qui, perché raccontare altro (ci sono sempre Wikipedia e gli altri siti divulgativi) significherebbe guastare la visione.

Val la pena solo notare un piccolo dettaglio: nella scena finale Martorana dice: «A vederli in manette mi sento vivo», come Laganà. Poi i titoli di coda scorrono sul bellissimo tema di Riz Ortolani, a degno commento finale di un film sottovalutato ingiustamente.

 

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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