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Gauguin a Tahiti, un Paradiso d’arte in un film

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L’avventura esotica del grande artista parigino rivive in un recente documentario di Claudio Poli

«Io sono un selvaggio, un lupo nel bosco senza collare», diceva di sé Paul Gauguin (Parigi, 7 giugno 1848 – Hiva Oa, 8 maggio 1903) la cui vita è stata la corsa di un uomo in fuga dall’Arte accademica e dal mal di vivere della modernità, la storia di un ribelle che ha cercato la libertà in arcipelaghi ancora fuori dalle carte geografiche, l’autenticità ai confini della civiltà, in terre lontane, tra popolazioni allora sconosciute ed esotiche. È il primo aprile del 1891 quando, a bordo della nave Océanien, Gauguin lascia Marsiglia diretto a Tahiti, in Polinesia. L’artista ha quarantatré anni e quella giornata segnò l’inizio di un viaggio che non solo lo avrebbe portato a immergersi in una natura selvaggia, ancestrale, lussureggiante, fatta di sensazioni, visioni e colori ogni volta più puri e accesi ma anche all’elaborazione di un’arte al di fuori delle convenzioni e alla creazione di capolavori, che segneranno l’inizio di una nuova rivoluzione nella storia dell’arte.

Ed è proprio da qui che parte il docufilm Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto, per la regia di Claudio Poli, nuovo appuntamento del progetto della Grande Arte al Cinema. Il docu-film ripercorre l’intera esistenza di Gauguin: la vita, gli esordi in una società conformista come quella parigina, l’asprezza e bellezza selvaggia della costa bretone, prima tappa dove si trasferirà alla ricerca delle forme ancestrali di una nuova pittura. È proprio qui, a Pont-Aven, che Gauguin dipingerà alcune delle sue opere più celebri, come il Cristo Giallo ispirato al crocifisso ligneo ammirato nella cappella di Trémalo o La visione dopo il sermone, in cui il misticismo bretone trova forma nel cloisonnisme, con le sue campiture nette e stesure compatte di colore.

Dal primo periodo polinesiano al secondo e finale soggiorno tahitiano che daranno vita a capolavori come Ia orana Maria, Nafea faa ipoipo, Aha oe feii? o Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?

Il sogno di Gauguin diventerà sempre di più quello di immortalare un mondo primitivo, incontaminato, che non conosce gli artifici dell’uomo. La produzione pittorica, nel periodo tahitiano, è vasta, complice il paesaggio che richiama a una realtà ancestrale. L’artista resterà per sempre il pittore di Tahiti, ma soprattutto l’uomo che raccontò le isole della Polinesia francese agli occidentali.

Un’avventura del colore che inizia con il distacco dagli Impressionisti e dalle loro pennellate frammentarie, per poi passare attraverso i contrasti violenti con l’amico e collega Vincent Van Gogh e approdare a un cromatismo nuovo, anti-naturalistico e legato ai movimenti dell’anima.

Il racconto per immagini, anche dei luoghi che Gauguin scelse come sua patria d’elezione, è accompagnato dalle parole dello stesso pittore, con brani tratti da testi autobiografici come Noa Noa, che vuol dire profumo, e dalle lettere ai familiari, agli amici, alla moglie Mette.  Gli interventi di Belinda Thomson, massima esperta di Gauguin; David Haziot, autore della più aggiornata e accreditata biografia su Gauguin; Mary Morton, curatrice alla National Gallery of Art di Washington; Gloria Groom, curatrice all’Art Institute di Chicago; Judy Sund, docente della New York City University.

Non mancano anche testimonianze di collezionisti e discendenti di Gauguin. Il tutto ripercorre le tracce di una biografia e una pittura raffinatamente primordiale appartenenti oramai al mito. Con una costante partitura della visione dei capolavori non conservati ai Tropici ma in grandi musei dove ogni anno milioni di persone si fermano sognando il loro istante di paradiso come il Metropolitan Museum of Art di New York, o il Museum on Fine Arts di Boston, la National Gallery of Art di Washington o l’Art Institute di Chicago.

Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto è stato prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital con il sostegno di Intesa Sanpaolo, su soggetto di Marco Goldin e Matteo Moneta, che firma anche la sceneggiatura, con la partecipazione straordinaria di Adriano Giannini e la colonna sonora originale firmata dal compositore e pianista Remo Anzovino.

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