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Immigrazione, la parola ai sovranisti

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Nel suo recente pamphlet, Daniele Scalea critica il punto di vista umanitario sulle migrazioni. Non è vero, sostiene il presidente del Centro studi Machiavelli, che chi non vuole gli extracomunitari sia razzista o xenofobo. Semmai è vero che la mancanza di controlli e di limiti ha messo a repentaglio la sicurezza e rischia di pregiudicare il Welfare

L’immigrazione è davvero un fenomeno inarrestabile, come affermano – quasi all’unanimità – i media e le forze politiche? È vero che “gli immigrati ci pagano le pensioni”? I movimenti e i partiti sovranisti e populisti, generalmente critici sul fenomeno migratorio, celano un retropensiero xenofobo e razzista?

A queste domande, scomode e politicamente scorrettissime, ha provato a rispondere Daniele Scalea, co-fondatore e presidente del think tank conservatore Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Le sue riflessioni sul fenomeno migratorio sono affidate alle pagine del pamphlet Immigrazione. Le ragioni dei populisti, edito da Historica nell’ambito della collana di riflessione e azione politica Machiavellica.

Daniele Scalea

Il libro di Scalea si avvale della prefazione di Guglielmo Picchi, sottosegretario leghista agli Affari esteri del Governo Conte. Si tratta quindi di un lavoro frutto di un preciso ambiente politico-culturale: d’altra parte l’autore lo dichiara apertamente, senza millantare un’obiettività che è impossibile da raggiungere quando si discute di argomenti di così scottante attualità.

Il fine che più sta a cuore al presidente del Centro Machiavelli è la rivendicazione della fondatezza delle proteste di populisti e sovranisti. L’ostilità nei confronti dell’immigrazione indiscriminata, da parte di questo settore dell’opinione pubblica, non nasce, secondo Scalea, dall’odio o da un’irrazionale xenofobia, diversamente da quanto vuol far credere il mainstream: essa deriva, invece, dalla ragionevolissima reazione di chi vive il fenomeno migratorio sulla propria pelle, non nelle retrovie dei loft e dei quartieri alti, ma sulla linea del fronte delle periferie e delle zone popolari. Le posizioni estreme, di chi è disposto a spogliarsi di tutto per l’altro e di chi non intende cedere nemmeno il superfluo per aiutare chi ha bisogno, appartengono a una strettissima minoranza di persone. Nel mezzo c’è la generalità della popolazione italiana, che condivide i valori della solidarietà, «ma li applica con misura e buon senso, non con cieco assolutismo».

La copertina di Immigrazione

Per corroborare questa tesi, l’autore smonta alcuni luoghi comuni sull’immigrazione che sembrano essere stati ormai accettati come evidenze indiscutibili, ricorrendo a un’ampia letteratura scientifica. Innanzitutto, se è vero che i movimenti di popolazione sono sempre esistiti, è anche vero che le attuali migrazioni verso il continente europeo rappresentano in assoluto un unicum, sul piano quantitativo come su quello qualitativo.

Anche chi ammette, sia pure a denti stretti, che il fenomeno, così come si presenta oggi, non abbia precedenti, ricorre all’espediente dialettico di mostrare i presunti benefici che l’immigrazione di massa arrecherebbe sul piano economico ai paesi ospitanti. In realtà, rileva Scalea, esistono fondate ragioni per sostenere che l’afflusso di immigrati porti con sé un abbassamento del costo del lavoro, soprattutto nei settori meno qualificati. Ciò si traduce non solo in uno svantaggio per i lavoratori nativi, costretti ad accettare salari più bassi, ma anche in un disincentivo all’innovazione. Quanto più risulterà facile reclutare manodopera a basso costo, infatti, tanto meno l’imprenditore sarà motivato a investire nello sviluppo di tecnologie che accrescano la produttività. È lo stesso circolo vizioso, mutatis mutandis, che si verificò nell’antica Roma: qui l’abbondanza di schiavi non invogliò certamente i latifondisti a innovare le tecniche agricole per risparmiare sul costo dei salari.

Il sottosegretario Guglielmo Picchi

Del tutto infondato, afferma Scalea, è pertanto il vieto assunto “gli immigrati ci pagano le pensioni”. Contro questa affermazione convergono due considerazioni, una di livello più generale, e l’altra più puntuale. Innanzitutto l’immigrazione di massa minaccia lo Stato sociale, perché maggiore è l’estraneità fra i membri che compongono la società, minore sarà la disponibilità dei ricchi a redistribuire il proprio reddito verso i poveri. Inoltre, se è vero che l’immigrazione – entro certi limiti – contribuisce a ringiovanire un continente in via d’invecchiamento, è anche vero che per innalzare la percentuale della popolazione attiva, rispetto a quella non attiva, anche di pochi punti, sarebbe necessario un afflusso talmente massiccio di persone da determinare una situazione ingovernabile ed esplosiva dal punto di vista dell’impatto socio-culturale.

Dopo aver affrontato il problema migratorio al livello statistico ed economico, Scalea si sofferma su un paio di aspetti della questione meno comunemente trattati: uno è quello, più filosofico, del cosiddetto “dovere dell’accoglienza”; l’altro riguarda il tema spinoso dei minori non accompagnati.

Immanuel Kant

Circa il primo punto, l’autore si riconduce nientemeno che all’autorità di Immanuel Kant, «pensatore di riferimento per la contemporanea tradizione cosmopolita e pacifista». Il grande filosofo illuminista parlò effettivamente di un diritto di visita, cioè della possibilità di uno straniero di arrivare sul territorio altrui senza per ciò stesso essere trattato come nemico; ma non lo trasformò mai in un diritto all’accoglienza tout court, lasciando invece a chi detiene la sovranità di un territorio piena facoltà di mandare via lo straniero.

Quanto alla questione dei minori non accompagnati, Scalea cita il caso della Svezia, uno dei paesi più “accoglienti” del mondo. Qui, tra il marzo e l’ottobre del 2017, il Consiglio Nazionale di Medicina Forense ha effettuato una serie di esami medici per stimare con precisione l’età di un campione significativo di casi sospetti. Su 7.858 presunti “minori non accompagnati”, pari a più di un quinto di quelli giunti in Svezia tra 2015 e 2016, 6.628 sono risultati maggiorenni; per altri 112, le analisi hanno fornito risposte dubbie.

C’è da chiedersi, conclude l’autore, se l’inesausta e quasi unanime propaganda pro migranti di giornalisti, intellettuali e preti, lungi dall’essere frutto di un’analisi scientifica della realtà, non nasconda una presa di posizione puramente ideologica. In particolare la sinistra progressista e liberal, precisa Scalea, ha forse trovato nell’immigrazione – dopo la fine della prospettiva della dittatura del proletariato – un nuovo mezzo efficace per raggiungere il fine cui costantemente anela: l’abbattimento della tradizione, della nazione e dei costumi aviti.

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