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Addio a Bauman, il postmarxista per radical chic

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Anche il lutto è diventato liquido?

Addio a Zygmunt Bauman. La scomparsa del grande filosofo-sociologo è di quelle che non fanno notizia, perché capita che a 90 anni si muoia.

Ma ricordarlo è doveroso, perché è stato pur sempre un personaggio di primo piano e la pochezza delle élite culturali che restano lo ingigantiscono non poco. De mortuis nisi bene.

E prepariamoci al peggio: i mini servizi dei tg e i lanci online delle principali testate sono stati il meno. I coccodrilli veri arriveranno tra qualche ora. Facciamo così: andate in edicola e sfogliate tutti i quotidiani. Vogliamo scommettere che non troverete un titolo che non contenga l’aggettivo liquida? E se il titolista è fantasioso ed evita la banalità della citazione, il pericolo non è scampato: leggete bene e la liquidità spunterà in qualche occhiello o catenaccio.

In realtà, pur non essendo originalissimo, Bauman ha detto cose importanti. Ha descritto mirabilmente l’avvento del turbocapitalismo finanziario. Quello così cattivo e anodino da far rimpiangere la cruda fisicità dei vecchi padroni delle ferriere (ma i nostalgici non si preoccupino: vengano nel Sud profondo e troveranno più di un padrone vecchio stile con cui prendersela, perché a certe latitudini i furbi e gli sfruttatori 2.0 dell’alta finanza non hanno ancora preso piede e lì si opprime il prossimo come si faceva una volta).

Inoltre, Bauman ha denunciato con estrema lucidità i guasti della globalizzazione. Magari, ad esempio, i no global prima e i grillini poi l’avessero letto: certo antagonismo sarebbe più credibile.

Ma il problema è tutto qui: il sociologo anglo-polacco già sovietico è stato uno di quei pensatori più citati che letti, sebbene non scrivesse in maniera incomprensibile e non abbia abusato mai di quel gergo marxista che, dal secondo dopoguerra in avanti, ha reso antipatica la sociologia almeno a due terzi degli aspiranti intellettuali.

Bauman, comunque, ha avuto un bel po’ di cose in comune con gli intellettuali marxisti di matrice francofortese: dalla critica al consumismo, che riaggiorna un po’ quella classica degli anni ’60, alla difesa di un certo comunitarismo inclusivo. A proposito: Bauman, che a differenza dei francofortesi fu sempre un integrato (prima nella Polonia prebellica e autoritaria, poi nell’Urss dove si era rifugiato, infine in Inghilterra, dove ha potuto sviluppare le sue tesi marxleniniste senza mai emanciparsene del tutto), sembra una specie di Marcuse senza il sesso. E la sua società liquida ricorda sin troppo certe altre, grevi riflessioni di alcuni esistenzialisti, Sarte soprattutto (ricordate la metafora della prigione senza sbarre?) a cui il comunismo non dispiaceva. A lui, ultimo dei grandi intellettuali di sinistra alla moda, l’anagrafe ha giocato uno scherzo curioso, certo non spiacevole per la contabilità dei suoi editori: il collasso dell’impero sovietico, che ha messo fuori gioco tanta critica all’Occidente, ha dato una seconda giovinezza al suo pensiero, in cui il marxismo era sparito come schema, ma restava come ispirazione.

Ed ecco che i concetti del Nostro sono stati recuperati da un certo estabilishment a corto di riferimenti e tutto, all’improvviso, è diventato liquido.

Anzi, se c’è una cosa che ha reso irritante Bauman è stato proprio l’abuso delle sue liquidità. A partire dai ’90, questo stramaledetto aggettivo (che dosato con cura avrebbe invece ispirato riflessioni più serie) ha invaso tutto. Ed ecco che tutti i commentatori di provincia hanno dichiarato liquida questa o quell’altra cosa. Liquido l’amore. Liquida la mafia del 2000. Liquida la politica orfana delle ideologie ecc.

Insomma, i radical-chic hanno messo da parte Gramsci, troppo tragico e diventato improvvisamente pesante, e hanno trovato di che pascersi nelle trovate acute e brillanti del sociologo anglo-polacco. In Italia Repubblica – la prima testata che, incurante della scaramanzia, è partita coi necrologi – ha dato il suo autorevole marchio all’operazione: ha pubblicato i libri del Nostro nelle sue collane, lo ha intervistato e citato ogni due per tre (tranne forse nelle rubriche di cucina, ma è meglio controllare, non si sa mai…) e ci ha civettato alla grande.

Sorbiamoci l’ondata di necrologi più o meno improvvisati e scopiazzati da Wikipedia e andiamo avanti: tra un paio di giorni, saremo più globalizzati di prima.

Tanto, per apprezzare davvero Bauman c’è tempo. Prima o poi anche i suoi libri finiranno nei saldi al 50%, come certe griffe che negli anni ’80 costavano un occhio ed erano la disperazione dei genitori. Una piccola nota per chiudere: liquido, in molti dialetti meridionali sta per fuso o fuori di testa. Non è che Bauman ha usato il maledetto aggettivo anche con questo significato?

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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