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Calabria e Coronavirus, cosa dice davvero il New York Times

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La traduzione integrale dell’articolo di Jason Horowitz pubblicato dal Nyt il 21 aprile scorso e intitolato “For Southern Italy, Coronavirus Becomes a War on 2 Fronts”

ROMA – Il Coronavirus era già un disastro per Meorina Mazza. A marzo, ha infettato suo fratello, ucciso suo cugino e spinto i funzionari della Calabria, regione del Sud Italia, a mettere in quarantena la cittadina costiera in cui vive, San Lucido.

Ma il blocco l’ha anche tagliata fuori dai suoi turni di lavoro irregolare come aiuto cuoca e ha reso più difficile la ricerca del benessere. Ora fa affidamento su donazioni di farina per sfamare le sue figlie, ma non ha ancora soldi per pagare le bollette della luce.

Una bella panoramica del promontorio di San Lucido

«Siamo davvero diretti verso la totale disperazione», ha detto la signora Mazza, 53 anni con due figli.

L’epidemia di Coronavirus, che in Italia è tra le più mortali al mondo con oltre 24mila morti, è esplosa per la prima volta nel ricco Nord del paese, dove ha portato al limite uno dei sistemi sanitari più sofisticati d’Europa. Ma è il Sud più povero e meno sviluppato del paese che ha pesato davvero su tutta la crisi e ha avuto un ruolo di primo piano nella decisione del governo di bloccare tutta l’Italia il mese scorso.

Ora, in seguito al piano del governo italiano di riaprire gradualmente il Paese a partire dal 4 maggio, alcuni leader meridionali sono così spaventati dal rischio che il virus devasti le loro regioni che hanno paventato di mettere al bando i settentrionali se ci si fosse affrettati a togliere il blocco.

Gli italiani del Sud combattono già una guerra su due fronti: affrontano sia le furie del virus sia un crescente massacro economico, come non si vedeva dall’immediato secondo dopoguerra.

La diffusa esplosione del virus in Calabria «sarebbe stata una catastrofe», ha dichiarato la presidente calabrese Jole Santelli, che ha operato la drastica scelta di chiudere l’intera regione a marzo, contribuendo a prevenire un disastroso scoppio. Ma il danno economico, ha aggiunto la presidente, «sarà enorme».

La presidentessa della Regione Calabria Jole Santelli

Quest’ultimo bilancio è già evidente, anche se il Sud ha generalmente evitato il peggio della pandemia.

I poveri, abituati a cercare posti di lavoro nell’economia sommersa, dipendono sempre più dalle dispense pubbliche. Le notizie inquietanti di disordini sociali hanno perforato, una volta diffuse, la narrazione italiana del sacrificio patriottico. I funzionari pubblici temono che il crimine organizzato stia sfruttando la crisi intervenendo come erogatore di prestiti finanziari e, in alcuni casi, di cibo.

Il Coronavirus è stato la grande cartina al tornasole delle debolezze di governi, sistemi e società in tutto il mondo. In Italia ha messo a nudo in poco tempo il problema più complesso e duraturo del Paese: la disuguaglianza economica e sociale tra Nord e Sud.

L’unificazione dell’Italia, avvenuta a metà del XIX secolo, è stata interpretata da molti studiosi come una conquista del Sud feudale da parte del regno sabaudo del Nord in seguito a una vera e propria guerra civile.

Jason Horowitz, l’autore dell’articolo del New York Times

Nel corso dei successivi 150 anni, le guardie armate dei proprietari terrieri assenteisti del sud hanno lentamente usurpato l’influenza sociale, trasformandosi in potenti boss della criminalità organizzata, i quali hanno spinto i complici politici a sviluppare un sistema basato sullo scambio dei voti per i servizi. Questa corruzione e questa violenza hanno contribuito a mantenere il Sud in povertà.

L’assistenza sanitaria, in particolare, resta un settore in cui un mix di mecenatismo politico, cattiva gestione e influenza del crimine organizzato ha lasciato molto indietro il Meridione.

Prima ancora che il virus colpisse, alcuni degli ospedali della regione erano così profondamente indebitati da dover essere sottoposti ad amministrazione esterna, e i meridionali spesso si recavano a Nord per le procedure mediche.

«Il sistema sanitario nel Sud non può reggere il confronto con quello settentrionale», ha dichiarato Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto nazionale della Sanità.

Vincenzo De Luca, il presidente della Regione Campania

La signora Santelli, il cui ufficio assomiglia a quello di un governatore americano, ha dichiarato di aver chiuso la Calabria per paura che il ritorno dei lavoratori infetti dal Nord rompesse un sistema ospedaliero «piuttosto debole».

Infatti, la comparsa di un solo paziente affetto da Coronavirus ha costretto a chiudere e a disinfettare tutto il reparto di Pronto soccorso dell’Ospedale regionale di Cetraro, perché gli amministratori non avevano predisposto un percorso speciale che evitasse il contagio.

«Se l’ondata dei contagi del Nord arrivasse qui», ha affermato. Pino Merlo, 60 anni, medico dell’Ospedale di Cetraro, «non saremmo in grado di resistere».

Almeno per ora, il Sud resiste al virus: infatti i decessi attribuiti alla pandemia sono circa 1.500, decisamente pochi rispetto agli oltre 20.000 del Nord.

SuperVicienzo, un’immagine satirica del presidente De Luca

Ma, se il Sud riesce a tenere a bada il virus, la minaccia vera è quella economica.

A San Lucido, il fratello della signora Mazza ha passato più di un mese in ospedale mentre lei usava la farina per preparare una torta da colazione che le sue figlie mangiavano durante la settimana.

Sergio Malito, che lavora nel municipio della cittadina, ha detto che il terrore del contagio si è trasformato nel timore che i negozi non si sarebbero riaperti, che la pesca non sarebbe ricominciata, che i turisti non sarebbero venuti. «Saremo rovinati», ha commentato.

Una sensazione diffusa. Un video di cittadini disperati che urlavano al di fuori delle banche di Bari, sulla costa di fronte alla Calabria, è diventato virale.

Queste paure sono aggravate dai problemi economici prevalenti anche prima dell’arrivo del virus. La disoccupazione nel Sud si aggira intorno al 18 per cento, quasi il triplo di quella del Nord, mentre il tasso di disoccupazione giovanile si aggira intorno al 50 per cento, secondo Eurostat.

Più di 3,5 milioni di lavoratori in Italia sono irregolari e rappresentano circa il 12 per cento del Pil del paese, secondo l’Istat. Gran parte di tale attività è nel Sud, un’area di circa 20 milioni di persone che comprende le sei regioni continentali e le due isole.

Michele Emiliano, il presidente della Regione Puglia

Ma anche per gli operatori dell’economia ufficiale, le difficoltà possono moltiplicarsi in modo esponenziale, al pari del contagio stesso, dopo che le loro vite sono state spazzate via dal virus.

A Napoli, Arianna Esposito ha cercato per giorni di ricoverare sua madre ma gli operatori sanitari le hanno detto ripetutamente che sua madre non era abbastanza malata per essere sottoposta a test.

Quando le condizioni di sua madre peggiorarono, gli addetti alla linea di emergenza del coronavirus le dissero che non sembrava abbastanza senza priva di fiato. Le labbra della donna diventarono viola e finalmente arrivarono le ambulanze, ma ella è morta in strada per il Pronto soccorso. Il padre di Arianna è morto in un reparto di terapia intensiva alcuni giorni dopo.

Hanno lasciato un negozio chiuso di detersivi e prodotti per la pulizia.

«Ora possiamo usare ciò che resta in casa per mangiare, ma non abbiamo molto», ha detto la signora Esposito, 27 anni, i cui genitori avevano fornito una casa e le uniche entrate per lei e suo figlio di un anno. «Ora siamo ancora più spaventati perché sappiamo che nessuno ti aiuta».

Il padre del bimbo ha lavorato da irregolare in un altro negozio, anche questo chiuso.

La presenza diffusa nell’area di lavoratori irregolari ha creato una vibrante «economia da strada», ha affermato Luca Bianchi, direttore di un’associazione per lo sviluppo del settore nel Sud Italia. Ciò ha comportato che con l’arrivo dei blocchi questi lavoratori sono risultati colpiti più duramente perché non avevano accesso ai pacchetti di aiuti del governo.

Il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, ha dichiarato di aver preparato un pacchetto di aiuti di quasi un miliardo di euro, ovvero 1,09 miliardi di dollari, per i lavoratori.

Cateno De Luca, il sindaco di Messina

«Nessuno morirà di fame», ha detto. «Questo lo posso assolutamente garantire».

Ma il governatore ha aggiunto di aver esortato il governo centrale a trovare un modo per affrontare il «grande problema» di motivare le migliaia di persone che si guadagnano da vivere in maniera irregolare per uscire dal mercato nero e chiedere aiuto. Altrimenti, ha detto, «non potrebbero mai dichiararsi illegali o dichiarare illegali le aziende per cui lavorano».

De Luca teme che la criminalità locale, la Camorra, possa cercare di sfruttare la crisi e ha affermato che uno dei motivi per cui la Regione ha messo insieme un ambizioso pacchetto di aiuti è stato «chiudere la porta al crimine organizzato».

Già a Napoli, i media italiani hanno riferito che la Camorra sta usando il pretesto di consegnare cibo per restare in strada a vendere droga o a escutere i proprietari di negozi per donazioni ai poveri.

Michele Emiliano, presidente della regione Puglia, ed ex procuratore, ha recentemente dichiarato ai giornalisti che i boss della mafia si stavano probabilmente incontrando tramite teleconferenze come altre aziende.

Emiliano ha respinto le notizie di una presunta “ribellione della birra” nel Sud come «assurdità». Ma ha specificato che l’Italia, a suo parere, sta commettendo un «errore strategico» non concentrandosi sulla riapertura del Sud prima del Nord. Se i piccoli focolai nel Sud venissero eliminati, ha spiegato, si potrebbe creare uno spazio ospedaliero per i malati settentrionali e consentire anche il trasferimento della produzione dal Nord.

Altri leader del Sud, invece, considerano l’idea di attrarre gli affari del Nord una fantasia, e sostengono che le Regioni devono concentrarsi su come mantenere il virus a distanza e la popolazione nutrita.

«Questi sono i nuovi poveri del coronavirus», ha dichiarato Cateno De Luca, il sindaco di Messina.

Cateno De Luca è diventato famoso in Italia per aver cercato di respingere personalmente i continentali che arrivavano sull’isola. Ha insultato i ministri del governo che criticavano le sue azioni e ha sostenuto che, nelle attuali condizioni del sistema sanitario siciliano – i medici, ha detto, sono costretti a «fare la guerra con gli stuzzicadenti in mano» – anche un piccolo aumento delle infezioni sarebbe fatale.

Quindi, ha detto, sarebbe un fallimento iniziare a pianificare una ripresa economica.

«Non partiamo da zero», ha detto ancora. «Partiamo da meno di zero».

Jason Horowitz [adattamento dall’originale inglese a cura di Saverio Paletta]

Per saperne di più:

L’articolo originale del New York Times

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