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Pulizia antislava nei Balcani? Solo un mito

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L’idea che le foibe fossero la reazione ai soprusi italiani è uno strumento polemico utilizzato dai “negazionisti”. I dati storici dimostrano altro: gli italiani non operarono alcuna repressione di massa, ma ne subirono due…

Uno strumento usato da chi tenta di negare la natura di pulizia etnica delle foibe, ovvero di giustificarla come presunta reazione a supposte sopraffazioni italiane, è l’accusa al fascismo di aver realizzato una snazionalizzazione della Venezia Giulia.

L’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe

Tuttavia, l’esame dei dati quantitativi dei censimenti della popolazione giuliana nei periodi che vanno dal 1880 al 1910 (sotto l’amministrazione austriaca) e dal 1921 al 1936 (sotto l’amministrazione italiana) attestano come non sia avvenuta nessuna “pulizia etnica” fascista.

È ben noto come il governo asburgico perseguisse il progetto di germanizzare e slavizzare la Venezia Giulia, la Dalmazia e l’Alto Adige, secondo le precise direttive del kaiser Francesco Giuseppe nel suo consiglio della Corona del 1866. Ciò trova conferma nei dati demografici del periodo 1866-1918, che raccontano da una parte espulsioni massicce di italiani, dall’altra un’immigrazione slava favorita in ogni modo, il tutto accompagnato da una politica persecutoria contro gli italiani stessi, da violenze endemiche, dal mutamento coatto di un gran numero di cognomi, dalla chiusura di scuole italiane ecc. Anche un grande storico come Ernesto Sestan menziona questa politica imperiale: «35 mila circa sarebbero state queste espulsioni di italiani regnicoli nel decennio dal 1903 al 1913».

Una piccola profuga

[E. Sestan, Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale, Udine 1997, p. 93].

L’appoggio delle autorità imperiali all’immigrazione slava dall’interno dei Balcani, con la contemporanea ostilità verso la popolazione italiana, provocò un rapido aumento della popolazione slavofona in Venezia Giulia.

Ad esempio, la popolazione slovena ebbe nel periodo 1880-1890, un’espansione demografica del 3,4%, nel 1890-1900 una del 2,7%, nel 1900-1910 addirittura del 20,8%.

In alcuni centri l’aumento del numero degli sloveni fu ancora più accentuato. Nell’ultimo periodo indicato, a Gorizia la presenza slovena crebbe del 36,3 %, a Trieste del 116,7%, a Pola del 178,9%.

[Dati elaborati sulla base delle cifre riportate in O. Mileta Mattiuz, Popolazioni dell’Istria, Fiume, Zara e Dalmazia (1850-2002). Ipotesi di quantificazione demografica, Trieste 2005; G. Perselli, I censimenti della popolazione dell’Istria, con Fiume e Trieste e di alcune città della Dalmazia tra il 1850 e il 1936, Rovigno 1993]. È ovvio che l’aumento percentuale degli slavi comportasse una diminuzione relativa degli italiani.

Riesumazione di resti umani in una foiba

L’impatto di una serie combinata di misure contro gli italiani fu devastante specialmente in Dalmazia, determinando una rapidissima diminuzione del gruppo etnico italiano. Scrive il professor Monzali: «Nei primi studi statistici austriaci non ufficiali compiuti negli anni Sessanta e Settanta, il numero dei dalmati italiani variava fra i 40 e i 50.000; nel censimento ufficiale del 1880, il loro numero scendeva a 27.305, per poi calare drasticamente nei decenni successivi; 16.000 nel 1890, 15.279 nel 1900, 18.028 nel 1910 (su una popolazione dalmata complessiva di 593.784 persone nel 1900, di 645.646 nel 1910)».

 [L. Monzali, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra, Firenze 2011, pp. 170-171].

È quindi provata dalle brusche variazioni delle percentuali demografiche dei diversi gruppi etnici un’operazione di snazionalizzazione a discapito degli italiani durante l’ultimo cinquantennio dell’impero d’Austria. La popolazione italiana fu quasi cancellata in Dalmazia e ridimensionata in Venezia Giulia dalla morsa convergente dei nazionalisti slavi e delle autorità imperiali.

All’opposto, non si ritrova un’operazione di pulizia etnica ai danni degli slavi sotto il regno d’Italia. È vero che avvennero degli spostamenti di popolazione nel periodo del 1918-1921 in Venezia Giulia, però essi furono volontari e dovuti a ragioni economiche.

Bersaglieri italiani nei Balcani


1] Il governo austriaco aveva immesso nella regione, nel suo progetto di «germanizzare e slavizzare […] con energia e senza riguardo alcuno», funzionari, amministratori, militari, impiegati delle poste, del telegrafo, delle ferrovie ecc. di etnia austriaca, ungherese, nonché slovena. Al momento del passaggio di consegne dallo stato austriaco a quello italiano tutte queste persone, ovviamente, persero il loro posto di lavoro: nessuno Stato al mondo avrebbe conservato funzionari, militari, impiegati statali stranieri, nemmeno originari della Venezia Giulia, sia per motivi di fedeltà, sia perché l’ammissione a determinati impieghi era soggetta a precisi requisiti ed a conoscenze diverse da paese a paese.

2] Come accade abitualmente qualvolta un territorio passi da uno stato ad un altro, queste persone persero i loro posti di lavoro, per cui decisero volontariamente di tornare nelle proprie terre d’origine. Ciò che avvenne fu l’emigrazione volontaria di alcuni gruppi di austriaci, ungheresi e slavi che avevano perso i loro incarichi statali per una semplice e consueta misura amministrativa, comune a tutti gli stati (la Jugoslavia, ad esempio, fece lo stesso sul suo suolo). Non fu una “pulizia etnica”, anche perché chi volle fu lasciato libero di rimanere in Venezia Giulia. (Sono molto utili al riguardo le considerazioni di H. Angermeier, Königtum und Staat im deutschen Reich, München 1954). Banalmente: come l’Austria si era servita di suoi funzionari, amministratori, impiegati statali, militari in Venezia Giulia, così fece l’Italia. L’unica vera emigrazione per motivi politici, e non economici, dalla Venezia Giulia alla Jugoslavia fu invece quella di poche migliaia (meno di tremila) di nazionalisti slavi, i quali, anche qui di loro spontanea volontà, si trasferirono subito dopo la guerra nel neonato regno jugoslavo, divenendo al di là della frontiera agitatori, propagandisti e talora terroristi del proprio nazionalismo in territorio italiano. Anche in questo caso non si deve parlare di pulizia etnica, perché questo spostamento fu volontario e coinvolse poche migliaia di persone (J. A Brundage, The genesis of the wars: Mussolini and Pavelic, London 1987)

3] Ancora, bisogna segnalare come anche durante il Ventennio fascista si sia avuta un’immigrazione di sloveni dalla Slovenia alla Venezia Giulia: J. L. Gardelles, studioso francese, calcola che almeno 20.000-25.000 sloveni immigrarono in Venezia Giulia ed ivi presero stanzialmente residenza durante gli anni ’20 e ’30. (J. L. Gardelles Histria et Dalmatia. Peuplements: essai de synthèse, in «Journal of modern history», VI (1980), pp. 143-214). Un simile fenomeno, accettato dal regime fascista, è incompatibile con l’idea di un progetto di “pulizia etnica”.

Una fucilazione durante la Seconda guerra mondiale

Semplificando al massimo per brevità, le autorità fasciste si proposero l’italianizzazione della regione, ma non concepirono né la cacciata degli allogeni né la loro assimilazione forzata, limitandosi a misure simili a quelle di altri stati coevi, anche liberali o democratici, in fatto di istituzioni scolastiche e uso della lingua ufficiale.

L’inesistenza di uno stravolgimento coatto della composizione etnica e nazionale della Venezia Giulia operato dal fascismo emerge dal confronto fra il censimento del 1921, avvenuto l’anno prima della marcia su Roma e dell’inizio del regime fascista, e quello del 1936.

I dati del censimento del 1921 conducono a rilevare una presenza di sloveni e croati pari al 37,3% [J. B. Duroselle, Le conflit de Trieste 1943-1954, Bruxelles, 1966], mentre la loro percentuale nel 1936 arrivava al 37,9%. Precisamente, nel 1936 la popolazione della regione era di 1.022.593 abitanti, con 402.091 abitanti d’etnia non italiana, (slavi, tedeschi, altre piccolissime comunità, per il 39,5%) di cui 252.916 sloveni (il 24,7%) e 134.945 croati (il 13,2%).

 [T. Sala, 1939. Un censimento riservato del governo fascista sugli «alloglotti». Proposte per l’assimilazione degli “allogeni” nella Provincia dell’Istria in «Bollettino dell’Istituto Regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia», a. I, n. 1, 1973, pp. 17-19.]

Pertanto, gli slavi erano aumentati di numero dal 1921 al 1936, in termini sia assoluti (non sorprendenti, data la generale crescita demografica), sia relativi, poiché la percentuale di sloveni e croati sul totale degli abitanti era cresciuto, seppure in modesta misura.

Si deve invece rilevare per contrasto l’ampiezza della brutale pulizia etnica esercitata dagli jugoslavi sulla popolazione italiana in Venezia Giulia nel 1943-1948, che condusse alla cacciata di circa 300.000 italiani, a cui andrebbero aggiunte le molte migliaia di assassinati.

In conclusione, la pulizia etnica fascista in Venezia Giulia è un mito, mentre invece ne era avvenuta un’altra, contro gli italiani, già sotto l’impero d’Asburgo, nelle regioni giuliana e dalmata, a cui seguì quella perpetrata dai partigiani di Tito.

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