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Affaire Villella, a breve la sentenza

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Alle battute finali il processo in Appello contro il Museo “Lombroso” di Torino per il cranio di un pastore morto in carcere

Partita con il botto, questa curiosa vicenda giudiziaria si avvia al rush finale in sordina. Ci si riferisce al processo, intentato dal Comune di Motta Santa Lucia, un paese di nemmeno 900 abitanti in provincia di Catanzaro, al Museo “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino. L’oggetto del contendere, che dura dal 2009, anno di apertura del Museo in cui sono esposti i reperti umani della collezione del celebre medico veronese, padre della moderna antropologia criminale, è il cranio di Giuseppe Villella, un pastore originario di Motta e morto in carcere a Pavia nel 1864.

Questo cranio ha una notevole importanza nella nascita della teoria lombrosiana del delinquente nato per via di una leggera anomalia, la fossetta occipitale mediana, che secondo lo studioso ottocentesco sarebbe stata la prova della tendenza a delinquere innata in alcuni individui.

Sparita nel nulla per oltre un cinquantennio, questa collezione, se si vuole un po’ macabra, è ritornata agli onori della cronaca in seguito alle polemiche scatenate dai gruppi “sudisti”, esplosi a loro volta in concomitanza col boom di Terroni di Pino Aprile. Da questi ambienti, critici verso il Risorgimento e ispirati da una mutazione del meridionalismo, diventato revanscista e neoborbonico, è sorto il Comitato Tecnico-Scientifico “No Lombroso”, che ha dichiarato guerra al Museo, dapprima in maniera mediatica, poi per le vie giudiziarie.

Non è il caso, per ora, di approfondire le motivazioni del Comitato, che nel frattempo ha raccolto le adesioni di oltre cento Comuni e di varie personalità. Semmai, è opportuno raccontare per sommi capi la vicenda giudiziaria, iniziata con la citazione in giudizio del Museo da parte di Amedeo Colacino, il sindaco di Motta Santa Lucia, che ha richiesto la restituzione del cranio di Villella, considerato in un primo momento un brigante (perché tale lo aveva definito Lombroso). Occorre aggiungere che anche il Comitato “No Lombroso”, a cui ha aderito il sindaco Colacino è intervenuto nel processo a fianco del Comune.

Il primo round giudiziario si è concluso con la vittoria del Comune di Motta nel 2012. In quell’anno, Gustavo Danise, giudice del Tribunale di Lamezia Terme, aveva emesso un’ordinanza con cui intimava al Museo la restituzione del cranio conteso.

Il Museo “Lombroso” ha subito proposto il ricorso, tuttora in corso, alla Corte d’Appello di Catanzaro.

Nel frattempo sono accaduti alcuni episodi eclatanti, che hanno aumentato l’esposizione mediatica del caso. Nel 2014 Maria Teresa Milicia, un’antropologa e ricercatrice dell’Università di Padova ma di origine calabrese, ha pubblicato un libro: Lombroso e il brigante. Storia di un cranio conteso, esito da Salerno Editrice, in cui viene rivelata l’identità storica di Villella (un pastore finito in galera per furto e non un brigante, appunto) ed è ricostruito il pensiero del criminologo veronese.

Spinto dal fiume della polemica, il libro ha cambiato la prospettiva del dibattito in corso, anche davanti ai magistrati di Catanzaro: la battaglia per la restituzione del cranio non ha più un valore (solo) “identitario” ma ne acquisterebbe uno “umanitario”. Il fuoco della polemica, in altre parole, si è spostato dal desiderio di riavere il cranio di Villella non più solo per riscattare il Sud ma anche perché, così sostengono gli animatori del Comitato, per difendere la dignità umana di tutti i proprietari dei reperti custoditi ed esposti nel Museo “Lombroso”.

Le udienze, dopo vari rinvii, sono riprese a metà settembre. Con un colpo di scena: si è costituito in giudizio un nipote di Villella.

La partita è ripresa il 15 novembre con l’ultima udienza, per la verità andata quasi deserta, tranne per la presenza dei legali delle due parti e di alcuni osservatori. Entro tre mesi la sentenza con cui terminerà il secondo round. Perché, c’è da esserne certi, se ne annuncia un terzo. Ma di questo si tratterà più approfonditamente a breve.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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