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Concorso Dsga, l’ultima beffa per i candidati

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Inizia la conversione del decreto “salvaprecari” con cui si tenta di bandire il concorso riservato per i Dsga senza laurea. I candidati al concorso ordinario, sopravvissuti a una preselezione dura e a scritti più che impegnativi protestano: parlano di meritocrazia e rinnovamento ma praticano la clientela. Come dargli torto?

A dispetto del no secco di Mattarella, comincia una settimana di passione per gli aspiranti Dsga (Direttori dei servizi generali ed amministrativi) delle scuole, segno che in Italia basta fare la voce grossa per ottenere qualcosa, anche a discapito dei più elementari principi di legalità e costituzionalità.

Il presidente Mattarella

Da lunedì 25 novembre parte il dibattito alla Camera per la conversione del decreto 126 emanato lo scorso 29 ottobre. Un pastone abbastanza confuso con cui il governo, tirato in tutti i modi dalle parti sociali cerca di risolvere i problemi, presunti e reali, delle scuole. In questo pastone è prevista la sostanziale conferma di ciò che il Presidente della Repubblica aveva rigettato: il cosiddetto concorso bis per Dsga, riservato ai facenti funzione, cioè agli assistenti amministrativi che hanno svolto questa mansione su incarico diretto del proprio dirigente scolastico per almeno tre anni anche in assenza dei titoli di studio (la laurea vecchio ordinamento o magistrale in Giurisprudenza, Economia, Scienze politiche, Scienze dell’amministrazione ed equipollenti) previsti in maniera obbligatoria dai contratti collettivi.

Una vera e propria porcata, per citare il vecchio Calderoli, che si aggiunge a una serie di prassi scorrette durate per decenni.

Ma tant’è: basta fare la voce grossa, per ottenere quel che si vuole e mettersi sotto i piedi normative e Costituzione.

Per esempio, l’ha fatta Francesco Sinopoli, il segretario generale della Flc-Cgil, durante la manifestazione di protesta tenuta dai facenti funzioni davanti a Montecitorio l’11 novembre.

Francesco Sinopoli, il segretario della Flc-Cgil

«Ottomila scuole, di cui tremila rette da voi, alcune da vent’anni molte da dieci. Sono questi i numeri. Sono queste le ragioni per cui ci devono ascoltare», ha arringato il segretario della Flc in perfetto sindacalese. Infatti, il ricorso a impiegati senza titoli promossi dirigenti sul campo pro tempore protratto così a lungo lo si è dovuto a una lacuna dello Stato, che non ha bandito concorsi per decenni.

Ma è giusto che l’emergenza legittimi ciò che, a norma di Costituzione non si dovrebbe? Non dobbiamo ricordare noi a Sinopoli, brillante laureato in Giurisprudenza e titolare di un dottorato in Diritto del lavoro, che in questo caso non si tratta di lavoro ma di mansioni dirigenziali per le quali una giurisprudenza concorde (del Consiglio di Stato e della Corte costituzionale) chiede il concorso pubblico?

Eppure il segretario ha tirato dritto con affermazioni a dir poco discutibili:

«Avete subito un abuso. Non c’è nessuna scusa che giustifichi quello che hanno fatto. Il titolo di studio è un’invenzione in questo caso, perché si era derogato per il concorso ordinario ed era stato spiegato già con chiarezza al precedente governo».

Forse non gli si può dare torto. Infatti, era già sbagliato il bando del 2018, che equiparava ai laureati i facenti funzioni per un minimo di tre anni senza titoli. Una boiata all’italiana, approvata forse con la consapevolezza che molti facenti funzioni sarebbero stati falcidiati, come pare sia avvenuto, nelle prove preselettive di giugno.

Candidati all’opera

Il risultato di questo compromesso? Un concorso pesantissimo, che ha dato adito a non poche ingiustizie: quiz durissimi, in cui poco ci mancava che si chiedesse ai candidati il numero di puntini bianchi sui funghi dei puffi; l’inserimento di una prova pratica negli scritti svoltisi a inizio novembre (scelta piuttosto illogica, visto che i vincitori prima di prendere servizio devono comunque frequentare dei corsi di formazione specifici) e la prova scritta teorica impostata come un maxiquiz in cui i candidati avevano solo tre ore per risolvere sei quesiti (praticamente, come hanno commentato in non pochi, senza neppure il tempo per copiare in bella copia o rileggersi).

È inoltre fuori luogo l’espressione abuso, urlata ad alta voce da Sinopoli con piglio salviniano: nessuno ha abusato dei facenti funzioni, che sono comunque stati retribuiti per le maggiori responsabilità che nessuno li ha obbligati ad accettare e, soprattutto, senza che nulla garantisse loro stabilizzazioni che nell’ordinamento italiano non esistono più e in quello europeo non sono mai esistite.

Ma la grossa balla propinata dai sindacati all’opinione pubblica è la definizione di precari affibbiata ai facenti funzioni: com’è emerso praticamente subito, sono tutti dipendenti a tempo indeterminato, che perderanno il maggior emolumento ricevuto finché hanno fatto i Dsga ma che resteranno più che tutelati (ci riferiamo al famoso posto fisso, su cui Checco Zalone ha costruito un mantra).

Polemica su Facebook

Ma le lusinghe da Paese dei Balocchi sono fortissime e hanno attecchito su tanti Pinocchi e non pochi Lucignoli, che si sono convinti di avere dei diritti e di potersela prendere col prossimo. È accaduto, ad esempio, su Facebook, dove, nel corso di una discussione accesa, un probabile facente funzioni se l’è presa coi concorsisti, definendoli «terroni che vengono a sfamarsi al Nord». Giusto per ripeterci, non servono Salvini e i grillini per vellicare i bassi istinti.

Ma l’aspetto peggiore di tutta la vicenda è che il Parlamento rischia di completare una porcata da esso stesso incautamente iniziata con l’indizione del concorso riservato ai facenti funzioni, che ha tutta l’aria di un concorso interno verticale (non più ammissibile) sotto mentite spoglie.

Anche di questo si sono accorti i concorsisti ordinari, che si sono costituiti in comitato spontaneo e si sono rivolti a Mattarella con una nota pepata, di cui riportiamo un passaggio significativo:

«Ciò che sconcerta è la politica tutta, che da un lato professa la meritocrazia, il turn over generazionale, l’innalzamento delle competenze della pubblica amministrazione, e dall’altro foraggia meccanismi clientelari realizzati al chiaro fine di ottenere ritorni elettorali».

Ma è possibile che ai concorsisti ordinari resti solo l’arma della protesta, poco divulgata dai giornalisti (spesso non abbastanza specializzati per comprenderla) e sottorappresentata dalle forze politiche?

Quello che rischia di consumarsi è un ennesimo, bruttissimo colpo di coda. Un’altra porcata, per riprendere la terminologia ruspante di chi almeno si infischiava delle ipocrisie del politicamente corretto. Infatti, la conversione appena iniziata rischia di confermare i timori dei concorsisti: che la verticalizzazione cacciata dalla porta rientri dalla finestra.

Un segnale orribile nei confronti dei candidati ordinari, che hanno subito gli accordi sindacali prima degli scritti di novembre e ora rischiano di ritrovarsi il concorsone all’italiana prima degli orali.

Di fronte a queste premesse, come ci si può fidare?

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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