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Se il Sud va peggio non è colpa della mentalità

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Ci scrive Franco Pelella, che prende spunto da un articolo di Sales: basta insistere nei pregiudizi, per valutare il disastro del Mezzogiorno serve un’ottica più seria e imparziale

Lo storico Isaia Sales ha scritto un articolo che comincia così: «Con l’attuale governo possiamo considerare finita la lunga fase storica in cui il divario economico-civile è stato retrocesso a problema di mentalità dei meridionali?» (Quei pregiudizi sul Mezzogiorno e le sorti del Paese, pubblicato su Il Mattino, il 14 ottobre).

Non sono d’accordo.

La mia opinione è che la fase storica che è finita è quella nella quale alcune regioni settentrionali (e alcune forze politiche di destra) hanno pensato di risolvere il problema della effettiva minore efficienza delle regioni meridionali rispetto a quelle settentrionali mediante l’attribuzione di maggiori risorse a queste ultime e non mediante strumenti legislativi che penalizzassero, su tutto il territorio nazionale, gli enti (ma anche le aziende, le scuole, ecc. ecc.) meno efficienti e premiassero gli enti più efficienti.

Bisogna, cioè, evitare l’errore di considerare le rivendicazioni delle regioni settentrionali viziate alla radice da un pregiudizio anti-meridionale ma, invece, ritenerle basate su problemi reali delle regioni meridionali ed essere, nello stesso tempo, coscienti che tali rivendicazioni possono essere bloccate solo proponendo soluzioni che siano, nello stesso tempo, caratterizzate da uno spirito punitivo nei confronti degli enti inefficienti e da un respiro nazionale delle risposte da attivare.

Franco Pelella

Caro Franco,

Purtroppo è il cane che si morde la coda. L’articolo di Sales pone un problema serio: fa capire come l’attenzione si sia spostata da una situazione oggettiva di malfunzionamento delle regioni (intese sia come territorio sia come istituzioni) del Sud a una presunta mentalità inefficiente e passiva delle popolazioni meridionali.

Un’involuzione in cui ha pesato il mai rimosso pregiudizio antimeridionale e che, purtroppo, è entrata nell’agenda di molte forze politiche, non necessariamente di destra (ricordiamoci che anche non poca sinistra, a partire da Cacciari, si è messa a inseguire il cosiddetto “popolo delle partite Iva” e ad abbracciare politiche federaliste).

Purtroppo, però, c’è da dire che le situazioni protratte nel tempo generano mentalità diffuse nella cittadinanza e questa spirale discendente ha portato all’inagibilità democratica di interi territori del Mezzogiorno.

C’è da dire, inoltre, che le normative premiali per i “bravi” e punitive per chi “bravo” non è (o, cronache alla mano, è addirittura “cattivo”), in parte esistono, ma la loro applicazione incompleta a livello amministrativo e politico ha generato distorsioni su distorsioni.

Tu chiedi che non si butti via il bambino, cioè la parte sana delle società meridionali, con l’acqua sporca. Richiesta ragionevole.

Ma non lo sono altrettanto certe rivendicazioni sudiste, in cui confluisce non poco meridionalismo andato a male. Rispondere al pregiudizio (che purtroppo c’è) con la cultura del piagnisteo rivista e scorretta (a botte di rancori territoriali, di revisionismo storiografico e di antimafia a la page) significa rafforzare il pregiudizio.

Ed è grave che a questa subcultura dia voce una testata prestigiosa come Il Mattino. Ciò contribuisce a inquinare quel che resta dell’opinione pubblica del Sud e, di fatto, fornisce spunti a chi attribuisce le responsabilità di una situazione grave, che sono molteplici, a un fattore indefinito e fumoso come la “mentalità”.

Serve una doppia presa di distanza: dalle rozze esemplificazioni dei “cummenda” e dai ringhi lagnosi dei “terruncelli”. Un’aspirazione minima, su cui non si può che concordare.

Saverio Paletta

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