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Briganti Criminali-Dalla tragedia alla sfortuna, la storia di una madre

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Le vicissitudini di Aurelia Angelini, una contadina abruzzese che perse l’unico figlio, partito soldato durante la repressione del brigantaggio in Calabria. Da un documento originale ritrovato nell’Archivio di Stato di Napoli

Il primo maggio 1864 Aurelia Angelini, analfabeta, scrive per mano d’altri una domanda indirizzata al presidente della Commissione Provinciale Amministratrice del fondo nazionale per la estirpazione del Brigantaggio in Aquila.

La donna, residente nel Comune di Antrodoco, narra di aver avuto un unico figlio, Francesco Saverio Angelini, «natale da tal uomo che poi disconobbe il suo amore e le sue promesse di matrimonio».

«Abbandonata nella miseria e nel disonore», l’infelice aveva però deciso di non disfarsi del neonato, «sentendo più forte l’amore di madre che non la vergogna di un errore giovanile»[1]. Dopo averlo allevato affrontando stenti e privazioni, nel 1861 ella aveva dovuto separarsi per forza dal figlio, divenuto un giovane adulto, a causa della legge sulla leva militare. In tale penosa situazione, unici conforti per l’esponente erano stati «i tenui sussidi che l’amoroso figliuolo le rimetteva sui risparmi del suo tenue soldo, e più la speranza di riaverlo quandochessia a sostegno della sua vecchiaia».

Archivio di Stato di Napoli

Ma una sorte amarissima era in agguato: Francesco Saverio Angelini, soldato del 57° Reggimento Fanteria, 7ª Compagnia, era morto il 9 febbraio 1864 a Policastro, in provincia di Catanzaro, «combattendo da valoroso, e troppo, contro i briganti». La scrivente, quindi, chiede al presidente un sussidio «che valga non pure a sollevarne l’attuale miseria ma ad assicurarne la sussistenza in avvenire».

Il fascicolo contiene anche la comunicazione della morte dell’Angelini, inviata il 19 febbraio 1864 al sindaco di Antrodoco dal capitano Baglioni, comandante della 7ª Compagnia: «Non devo passare sotto silenzio» precisa l’ufficiale «il modo coraggioso in cui si diportò durante tutto il conflitto, egli morì da prode e questo deve essere di conforto alla sua famiglia».

Il 23 marzo successivo, Baglioni scrive nuovamente al sindaco per compiacersi con lui della deliberazione presa dal Consiglio municipale di concedere una pensione ad Aurelia Angelini: «Tale decisione nel mentre che onora il Municipio di Antrodoco, servirà di stimolo agli altri i quali vedranno che quando si muore da prode, v’è chi pensa a sussidiare la famiglia». Nella stessa nota, il capitano rievoca le circostanze in cui lo sfortunato milite aveva trovato la morte:

«Il giorno 9 dello scorso Febbrajo moveva con una quarantina d’uomini alla volta del bosco di Caccuri ove supponeva esistere una grotta in cui riparavano alcuni Briganti. Giunti nel bosco divisi la mia forza: in modo che il soldato Angelini si trovò far parte del distaccamento comandato dal mio Sotto Tenente Sig. Ferraris.

Dopo circa un’ora che eravamo nel bosco frugando per ogni dove, onde metterci sulle tracce dei Briganti, il Sotto Tenente Sig. Ferraris che marciava avanti ai soldati Angelini e Spagnolini vide un barile nascosto in un cespuglio: segno evidente che la comitiva non doveva essere lontana. Datosi tosto a cercare coi soldati se altri indizi potessero fare loro ritrovare il nascondiglio ove dovevano essere nascosti, e mentre che al soldato Angelini parvegli di vedere una buca la quale dovesse servire d’entrata alla caverna, una schioppettata partita dalla grotta ed a loro diretta fu il segnale del ricovero dei Briganti. Tosto il soldato Angelini nulla curando il pericolo si slanciò onde penetrare nella medesima, quando un’altra scarica di più colpi gli ruppe il fucile, e successivamente una palla feritolo nel petto lo trapassò da parte a parte; si tolse subito dal luogo del conflitto, cercando alla bella meglio di stagnare il sangue che abbondantemente sgorgava dalle ferite. Ma invano giacché circa un quarto d’ora dopo cominciò a vomitare sangue dalla bocca perdendo del tutto i sensi, e dopo pochi momenti rendeva l’ultimo respiro, compianto da me e da tutti i suoi compagni i quali lo conoscevano per un buon soldato. Come già ebbi l’onore di scrivergli [sic] la sua salma riposa in Cotronei».

Bersaglieri alla carica

La Commissione Provinciale discute la richiesta della Angelini nel corso della riunione del 19 giugno 1864. Il relativo verbale fa presente che l’analoga Commissione sedente in Catanzaro aveva già concesso alla sventurata madre un soccorso di 200 lire. La stessa somma era stata stanziata anche dalla Commissione aquilana, con deliberazione del 15 maggio 1864. Tuttavia «l’acerbità del caso nel rapporto dell’Angelini, la quale è rimasta isolata nel mondo, fa sì che la medesima sia meritevole di altro soccorso». La Commissione Provinciale delibera pertanto di inoltrare la supplica alla Commissione centrale in Napoli, affinché quest’ultima «disponga dal fondo generale della Sottoscrizione nazionale un vitalizio». Per corroborare la domanda, vengono inviati a Napoli anche alcuni «documenti giustificativi»: fra essi un certificato della Giunta municipale di Antrodoco del 12 maggio 1864, con cui si attesta «che Angelini Aurelia di questo Comune senza prossimi parenti, inferma di salute e in età di anni quarantacinque aveva unico sostegno nel suo figlio naturale Angelini Francesco Saverio da essa allevato, e morto combattendo contro i briganti nella Provincia di Catanzaro a dì nove Febbrajo 1864».

Briganti in manette

Il 10 febbraio 1865 l’interessata torna a scrivere, stavolta al presidente della Commissione centrale sedente in Napoli per la distribuzione de’ sussidi ai danneggiati dal brigantaggio, pregandolo accoratamente di accordarle la pensione vitalizia «per cui fu la medesima raccomandata a cotesta Commissione centrale dalla Commissione provinciale di Aquila».

La triste vicenda sembrerebbe però essersi conclusa nel peggiore dei modi per la disgraziata Angelini, a causa della spietatezza delle leggi della burocrazia. L’ultimo documento, in ordine cronologico, che si conserva nel fascicolo consiste infatti nella minuta di una lettera spedita dalla Commissione centrale al prefetto di Aquila il 25 marzo 1865; in essa si chiede di comunicare alla richiedente il rigetto della sua domanda per scadenza dei termini di presentazione.


[1] Tutti i documenti citati nel presente articolo sono contenuti in: Archivio di Stato di Napoli, Commissione centrale per la distribuzione del fondo nazionale a favore delle vittime del brigantaggio, busta 1, fascicolo 8.

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