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Tirocini negli uffici giudiziari, la giustizia lavora in nero?

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Sono oltre 2.650 i superprecari che lavorano nel Ministero della Giustizia per  solo 400 euro al mese e senza alcun diritto e prospettiva. Questa situazione, finanziata con il Fondo sociale europeo, dura da circa sette anni. I tirocinanti valutano azioni legali e i sindacati tentano la via del dialogo. Ma la luce in fondo al tunnel ancora non si vede. E l’Italia rischia l’ennesima, pesante sanzione dalla Commissione europea.

Sono più che precari, perché la pubblica amministrazione non li considera neppure lavoratori. Una volta finita la loro prestazione presso le cancellerie e le burocrazie dei Tribunali (e questa prestazione può finire senza neppure il classico tratto di penna perché basta il mancato rinnovo) arrivederci e grazie.

Niente tfr, niente contributi. Niente di niente, perché i 2.650 circa ex percettori di ammortizzatori sociali per lo Stato sono dei semplici tirocinanti. Cioè persone che stanno negli uffici giudiziari per riqualificarsi e imparare un mestiere che possa sostituire quello perduto.

Per alcuni di loro, quelli che provengono dal Lazio, questo limbo dura dal 2010. Per i più, dura da sette anni.

È il caso di fornire qualche altra cifra, prima di continuare: in origine erano 3.400, da tutte le zone d’Italia. Poi, dopo la scrematura di poco meno di 1.000 unità, per 1.115 di loro si è aperto un altro calvario con un bando del 2015, che doveva inaugurare la costituzione degli Uffici per il processo telematico.

Ora possiamo procedere con ordine, per raccontare quest’odissea in seguito alla quale lo Stato sfrutta da anni dei lavoratori, in condizioni retributive e contributive (queste ultime, ripetiamo, nulle) per cui si può tranquillamente parlare di lavoro nero.

Detto altrimenti, la situazione di questi tirocinanti è per certi versi simile a quella dei lavoratori di pubblica utilità negli enti locali. Ne differisce solo perché è molto peggio.

Tutto ha inizio nel 2010, quando si decise di dare un’alternativa ai lavoratori finiti in mobilità: appunto, la possibilità di un tirocinio retribuito presso i Tribunali e le Procure per mansioni di operatore o ausiliario giudiziario. Poca cosa senz’altro, ma meglio che niente: circa 400 euro presi dal Fondo sociale europeo al mese. Paga l’Ue, la pa risparmia e colma i buchi di organico, che sono gravi, e l’Inps riposa.

Peccato solo che i criteri di scelta dei beneficiari di questi tirocini formativi siano stati demandati alle Regioni, per cui il cancro delle autonomie locali ha fatto metastasi nelle arterie del Ministero della Giustizia. Si prenda il caso dei lavoratori inseriti dalla Regione Campania: all’inizio erano 300 circa e tutti laureati in Giurisprudenza.

E questo è stato solo il primo dei paradossi.

Dunque, negli stessi uffici, grazie all’utilizzo degli ex lavoratori in mobilità, hanno lavorato gomito a gomito, in mansioni che se fossero state messe a concorso avrebbero richiesto il diploma delle scuole superiori, diplomati, laureati e persone con la semplice licenza media.

Ora, nessun problema se i tirocinanti avessero fatto solo l’addestramento teorico-pratico tipico degli stagisti. Il guaio è che, di rinnovo in rinnovo, questa situazione si è protratta fino ad oggi e perciò la prassi degli uffici giudiziari ha scombinato le carte non poco. Ed ecco che, negli stessi uffici, lavorano gomito a gomito dipendenti pubblici a tutti gli effetti e precari assoluti, che svolgono spesso le stesse mansioni.

Nessuna malafede in questa prassi che è dovuta all’intasamento degli Uffici provocato dalla carenza d’organico. Però il problema non solo resta, ma si è addirittura aggravato, a partire, come abbiamo già accennato, dal 2015.

Infatti, in quell’anno si decise di bandire 1.502 posti per tirocinanti negli Uffici per il processo telematico. Per colmare questi posti sono stati chiamati solo 1.115 dei tirocinanti in forza al Ministero della Giustizia. E tra loro c’è chi ha sospettato il classico trappolone: molti dei posti banditi sono fuori sede, a volte a centinaia se non a migliaia di km di distanza dalla città o dalla regione di residenza.

Per fare l’esempio della sola Calabria, si pensi che tra quelli, i più, che hanno dovuto proseguire il proprio tirocinio fuori regione, il più vicino è finito a Taranto. Altri, invece, sono nel profondo Nord. Tutti o quasi sono ultraquarantenni costretti a lavorare fuori sede per 400 euro al mese. E c’è di peggio: in molti Tribunali l’Ufficio per il processo telematico presso cui acquisire le competenze non c’è. Quindi la maggior parte di questi tirocinanti avrebbe continuato a svolgere le stesse mansioni di prima o quasi, con la sostanziale differenza dei molti, a volte troppi, km in più, che di fatto rendono il lavoro dei tirocinanti a titolo gratuito, perché 400 euro al mese per lavorare fuori residenza non sono niente.

L’ultima proroga è avvenuta a dicembre.

A questo punto è spontaneo chiedersi: possibile che questa situazione sia passata inosservata? Ovviamente no. Mentre i sindacati tentano il dialogo, c’è chi medita un’azione legale, magari collettiva ai limiti della class action, per sbloccare l’impasse.

Ma la strada non è facile. Tutt’altro, ammonisce Angelo Greco, avvocato di lungo corso e inventore animatore di La legge per tutti, popolare web magazine di informazione giuridica: «I tirocinanti possono sperare di ottenere il riconoscimento, per il lavoro svolto, della retribuzione davvero dovuta e dei contributi, ma non l’assunzione». Quattrini sì, lavoro no. Non è comunque poco.

Ma l’eventuale vittoria giudiziaria sposterebbe solo il problema. Già: come potrebbe reinventarsi chi, per sette-otto anni, ha svolto e imparato determinate mansioni?

Insistere nel mito della flessibilità può anche andar bene, ma così si esagera.

Per fortuna, è arrivata qualche voce anche dal mondo politico. Il 20 giugno scorso Andrea Maestri, Giuseppe Civati. Beatrice Brignone e Luca Postorino di Sel hanno presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia, in cui chiedono l’applicazione dell’articolo 16 della legge 56 del 1987 per avviare un processo di stabilizzazione. La risposta non è stata convincentissima, visto che il ministro ha annunciato la programmazione di alcuni concorsi in cui i tirocini dovrebbero valere come titoli preferenziali.

Ma anche a destra si è mossa qualcosa, per opera di Aris Prodani e Walter Rizzetto di Fratelli d’Italia: i due deputati hanno chiesto di riqualificare i tirocinanti e di assumerli per i 36 mesi necessari alla stabilizzazione. Stavolta, a causa dell’ingresso della legislatura nel rush finale, non c’è stata risposta.

Tra la sinistra cancellata dalle elezioni e la destra sopravvissuta a stento, è emersa anche la voce del Movimento 5Stelle. Ma non in Italia, bensì a Bruxelles, dove la europarlamentare Laura Ferrara ha denunciato, tramite un’interrogazione alla Commissione europea, l’uso improprio dei Fondi sociali e ha chiesto un intervento sull’Italia per tutelare i lavoratori. Insomma, sanzioni in arrivo.

Ma la situazione, che abbiamo cercato di riassumere alla meno peggio, resta in stallo, letteralmente sospesa nel vuoto politico, che dopo il 4 marzo è diventato pneumatico.

Ci sarà un lieto fine per questi lavoratori in nero per conto dello Stato coi soldi dell’Europa?

Per saperne di più:

L’intervento di Angelo Greco

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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