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Che squallore quei cori sulle foibe

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Gli estremisti di Action Antifaschistische gettano fango sulla manifestazione antirazzista di Macerata

La solita doppia misura di certa sinistra, per cui l’intolleranza è legittima solo se proviene dai propri ambienti

Ma tutto questo che c’entra con la tragedia di Pamela, che ha innescato rigurgiti di follia xenofoba?

La nuova sinistra vigili, altrimenti è colpa sua

Volete odiare, ma odiare seriamente? Se siete di sinistra, di una certa sinistra potete. Non che non si odi anche a destra. Anzi, una certa destra è riuscita a impartire lezioni solenni di odio.

Ma non c’è nessuna gara a chi odia di più. Il problema è un altro: la differente valutazione dell’odio, severissima e censoria se questo proviene da destra, mite fino al lassismo, se invece chi lo pratica appartiene a una certa sinistra.

La solita vecchia storia dei “compagni che sbagliano”. La solita tolleranza di una certa sinistra, politica e culturale e più o meno ufficiale, che inquina il dibattito.

Avete capito bene: ci riferiamo alla manifestazione antirazzista svoltasi sabato a Macerata. In sé, non una brutta manifestazione.

I maceratesi e la maggioranza dei militanti non sono certo scesi in piazza per manifestare solidarietà (neppure in maniera implicita, come invece hanno alluso Salvini e la Meloni) ai tre presunti assassini della 18enne. Ma hanno sfilato per ribadire che Macerata e i suoi abitanti non sono razzisti, a dispetto delle tensioni e dei malumori. A dispetto del gesto di un folle, che ha distorto il disagio di una convivenza difficile perché priva di elementari criteri di sicurezza, quelli in base ai quali occorre isolare e perseguire i devianti di ogni specie e colore.

Appunto: i criminali non hanno colore. E nemmeno le loro vittime. Neri i presunti assassini. Bianca la vittima certa. Ma nere anche le vittime, per fortuna non in maniera irrimediabile, della follia di un bianco.

Ma tutto questo che c’entra con i cori dei militanti – diciamolo subito: squallidi questi e quelli – di Action Antifaschistische? «Che belle le foibe da Trieste in giù», hanno scandito a voce alta, come se fossero allo stadio e come se la tifoseria opposta fosse, invece, neofascista.

E come se le migliaia di italiani massacrati e infoibati dai titini fossero in blocco fascisti. Come se le vittime del tragico dopoguerra di 73 anni fa fossero collegate a certi brutti avvenimenti di oggi e come se la loro memoria fosse solo “di destra”.

Squallidi gli slogan, ripetiamo, e squallidi quelli che li cantano e perché li cantano.

Squallidi come la macchia di fango che sono riusciti a imprimere su una manifestazione altrimenti giusta. E l’hanno impressa con tanta energia e precisione da far sembrare che qualcuno li abbia pagati per farlo.

Ma non è il caso di insistere con le dietrologie. Che costoro non meritano perché sono i figli degeneri di una sinistra incapace di riflettere su sé stessa. Sono i fratelli cattivi di quei signorini viziati che praticano, con la scusa della lotta al sionismo, un antisemitismo che nei loro omologhi di destra non viene invece minimamente tollerato (e meno male).

Chi, a sinistra, tira le file di un certo discorso politico e culturale ha il dovere di prendere una posizione, come tra l’altro ha fatto il Pd, che magari ha colpe più gravi del blandire l’insensatezza di alcuni ultrà, ma non quelle di fomentare l’odio o di speculare politicamente su una tragedia di cronaca nera.

Quelli che stanno a sinistra del Pd hanno il dovere di isolare questi folli, i “titini” di sabato come certi antagonisti che escono con troppa facilità fuori dai seminati del vivere civile, pena la perdita di ogni credibilità.

Anche loro devono ricordare che a monte di ogni convivenza c’è la sicurezza. Quella che dovrebbe impedire anche ai deboli e ai migranti di delinquere, soprattutto per rispetto ai deboli e ai migranti che faticano per inserirsi e farsi accettare. Quella che dovrebbe prevenire certe espressioni becere, a prescindere da chi le pratichi.

Anche loro, i fautori stentati e un po’ pasticcioni della nuova sinistra, devono riflettere sulla loro storia, per capire che anche in questa storia ci sono nervi scoperti che possono attivare meccanismi simili a quelli che, giustamente, vengono additati e spesso repressi in certa destra.

 Non siamo allo stadio. Ricordiamolo. Anzi: lì le pratiche dei daspo tentano di incivilire un po’ le tifoserie. A quando i daspo per le manifestazioni pubbliche?

Saverio Paletta

 

 

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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