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Angelina Romano, dalla tragedia alla bufala

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La vicenda della bimba siciliana morta durante la repressione della rivolta di Castellammare del Golfo è uno dei pezzi forti del revisionismo neoborbonico, secondo cui la piccola sarebbe stata fucilata dai soldati italiani. Cosa c’è di vero? A rivedere i documenti, molto poco. Intanto in rete girano foto false dedicate alla ragazzina, a corredo di racconti carichi d’odio…

Forse non è il caso di ripercorrere la polemica tuttora in corso sulla rimozione del busto del generale Enrico Cialdini – luogotenente del Regno impegnato nella repressione del brigantaggio nelle ex province borboniche nell’immediato periodo postunitario – dal salone d’onore della Camera di Commercio di Napoli.

Un panorama odierno di Castellammare del Golfo

Libero il presidente Ciro Fiola di fare tutte le scelte e di accogliere tutte le proposte che vuole. Anzi, visto che ci siamo, ne avanziamo anche noi una, in linea col trend neoborbonico: cambiare il nome della pizza Margherita o almeno crearne una Maria Sofia, giusto per parare il colpo (tanto più che la principessa bavarese era di sicuro più fine e aveva le gambe più belle dell’avvenente mammà di Vittorio Emanuele III).

Ma due precisazioni sono obbligatorie.

La prima: Cialdini non volle alcun busto a suo nome. Semmai ne volle dedicare, a spese sue, uno a Cavour. Quindi il busto del generalissimo non fu un atto di megalomania ma una semplice dedica, come tante se ne facevano. Inoltre, non è provato ancora, checché ne pensino Di Fiore, Aprile e…. Ciano, che Cialdini fosse quel gran macellaio, quasi antesignano di Bormann, che certo revisionismo nutrito di gramscismo andato a male si ostina a raccontare.

La Camera di Commercio di Napoli

Attacchino pure quanto vogliono gli accademici, lorsignori; tanto la sostanza non cambia: la storia devono farla gli storici e non i giornalisti o i tabaccai (a meno che questi non dimostrino di avere competenze reali), e le dichiarazioni pubbliche di GiulianoAmato a Pontelandolfo non possono prendere il posto di ricerche corpose e serie, già svolte o in corso, in cui non possono essere incluse le produzioni dei due giornalisti e del loro San Giovanni Battista di Gaeta.

La seconda precisazione è ancora più importante perché riguarda la sostituzione del busto di Cialdini con un’effige (ancora non si sa di che natura) della piccola Angelina Romano, su proposta di Fabrizio Luongo, il presidente vicario della Camera di Commercio.

Il generale Pietro Quintini

Come ormai sanno anche i muri, grazie alla martellante propaganda revisionista e neoborbonica, Angelina Romano è la bambina siciliana morta a soli nove anni durante la repressione della rivolta antileva e antiborghese scoppiata a Castellammare del Golfo, nel Trapanese, il Capodanno del 1862.

Secondo la vulgata, sparata sul web e ripresa da più siti, la piccola sarebbe stata fucilata assieme ad altre cinque persone forse perché, come suggerisce Antonio Ciano nel suo I Savoia e il massacro del Sud, parente di qualcuno degli insorti o di qualche renitente alla leva. Un suggerimento da vagliare ma da non accogliere in nessun modo, perché, come tante cose scritte da Ciano (e riprese da vari revisionisti antirisorgimentali) assolutamente non provata.

Di certo c’è solo che Angelina Romano morì in località Falconera di Castellammare del Golfo il 3 gennaio 1862, in concomitanza di uno scontro a fuoco tra i militari e un gruppo di rivoltosi che, in effetti, furono passati per le armi.

Immagini fake e targhe vere dedicate alla piccola Angelina

Tra costoro, don Benedetto Palermo, un sacerdote di simpatie neoborboniche e reazionarie, sospettato di aver contribuito a fomentare la rivolta.

Torniamo ad Angelina: sappiamo della sua morte perché questa fu annotata dall’arciprete don Girolamo Galante nel libro dei defunti della chiesa madre di Castellammare con una formula allo stesso tempo ambigua e inequivocabile nel latinorum tipico delle pratiche ecclesiastiche:

«Romano Angela filia Petri et Joanna Pollina consortis. Etatis sua an.9 circ. Hdie hor.15 circ in C.S.M.E Animam Deo redditit absque sacramentis in villa sic dicta della Falconera quia interfecta fuit a militibus regis Italiae».

Il che, tradotto alla meno peggio, significa:

«Angela Romano, figlia di Pietro e di sua moglie Giovanna Pollina. Età, circa nove anni, alle quindici circa di oggi, ha restituito l’anima a Dio senza aver ricevuto i sacramenti perché uccisa dai soldati del re d’Italia nella villa Falconera».

Altro collage fake, in cui una finta Angelina viene paragonata ad Anna Frank (quella vera)

Dunque: si sa che Angela è morta perché uccisa dai soldati. Ma non si sa il come, anche per il motivo che le fonti dell’epoca non concordano, come ha avuto modo di notare in un articolo un giovane studioso, Federico Palmieri.

Ad ogni buon conto, in nessuna fonte si parla di fucilazione per quel che riguarda Angela Romano. Di più: nessuna fonte coeva (Il Giornale Officiale di Sicilia, il medico Giuseppe Calandra) parla della fucilazione della bambina con la dovizia di dettagli di Ciano, che arriva a dire che la piccola giocava a Crì Crì quando si trovò coinvolta nella conflitto a fuoco, terminato effettivamente con le fucilazioni. Di più: non si sa se neppure se Angela fosse normalmente chiamata Angelina.

Il Giornale Officiale parla inoltre di sei fucilati, quindi Angela viene aggiunta alla conta dei morti solo dall’arciprete. Qualcuno ha tentato di coprire così una vergogna del Regio Esercito? Di sicuro il tentativo non è stato efficace, visto che la notizia è girata comunque, al punto che un sacerdote ha potuto annotarla in un registro pubblico.

La piccola vittima mediorientale spacciata per Angelina

L’incertezza delle fonti – che però sono dettagliate sulle altre fucilazioni precedute da un conflitto a fuoco piuttosto aspro – fa pensare a quella che nell’odierno gergo bellico viene definita casualty: una vittima collaterale, trovatasi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Morì a causa di una pallottola vagante oppure, secondo un’altra ipotesi, perché usata come scudo umano dagli insorti.

Ma anche quest’ultima ipotesi non è da accettare perché sembra un’esagerazione speculare e opposta a quella della fucilazione. La verità potrebbe stare nel mezzo e quindi la bilancia penderebbe per la casualty.

Già: i proiettili, specie nella fase concitata di un conflitto a fuoco gestito con le baionette di allora, non sono selettivi. Come non lo erano le palle dei cannoni: si pensi che le prime vittime del bombardamento di Messina ordinato da Ferdinando II furono una donna e il suo bambino. Come non sono selettive le armi intelligenti odierne.

In ogni caso quella di Angelina è una brutta forzatura della storia che rende superfluo ogni altro commento.

Ma peggio della forzatura, che già non fa onore a chi la compie, c’è la falsificazione, con cui si raggiunge la bassezza. Non temiamo di assumerci conseguenze nel definire una bassezza l’aver usato le immagini di due altre bambine (una amerindiana più il corpicino di una piccola vittima di una guerra mediorientale, probabilmente palestinese) per ricordare Angela Romano.

Già: chi abbia un minimo di competenze a livello fotografico sa che foto come quella utilizzata da vari siti web per ritrarre la piccola Angela da viva non potevano esistere nel 1862 e, se fossero esistite, non sarebbero potute arrivare a noi così ben conservate. Peggio ancora per l’immagine del cadaverino, di cui esistono versioni a colori.

E sarebbe il caso che anche i cosiddetti revisionisti prendessero le distanze da un uso fantasioso ma moralmente dubbio delle immagini altrui.

Ricapitoliamo: non è provato che il generale Cialdini sia stato un novello Bormann né è provato che Angela Romano sia stata fucilata intenzionalmente dai soldati guidati dal generale Pietro Quintini per sedare la rivolta di Castellammare.

È certo, invece, che Cialdini non c’entrasse nulla nelle vicende siciliane e quindi è impossibile cercare un nesso tra la sua azione militare (che si svolse nel continente e non sull’isola) e la morte della bambina.

Quel nesso che, se ci fosse, potrebbe legittimare la sostituzione del busto del generale con l’effige della bambina (di cui, tuttavia, non si conoscono le fattezze). Sempreché, ovviamente, prima si provi che Cialdini sia stato un comandante delle Ss avant la lettre.

Passi che certe storie (che in questo caso non definiamo panzane per il rispetto che merita una piccola innocente) se le bevano i politici di provincia del Sud, che scambiano i clic presi in rete per voti o almeno ci sperano.

Ma quando queste cose attecchiscono tra i rappresentanti di istituzioni prestigiosissime non c’è da stare allegri.

Di fronte a questi abusi, della storia e delle immagini, non aveva proprio torto Alessandro Barbero a parlare di fini immondi: già, per essi parlano i mezzi.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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