Angelina Romano, dalla tragedia alla bufala
La vicenda della bimba siciliana morta durante la repressione della rivolta di Castellammare del Golfo è uno dei pezzi forti del revisionismo neoborbonico, secondo cui la piccola sarebbe stata fucilata dai soldati italiani. Cosa c’è di vero? A rivedere i documenti, molto poco. Intanto in rete girano foto false dedicate alla ragazzina, a corredo di racconti carichi d’odio…
Forse non è il caso di ripercorrere la polemica tuttora in corso sulla rimozione del busto del generale Enrico Cialdini – luogotenente del Regno impegnato nella repressione del brigantaggio nelle ex province borboniche nell’immediato periodo postunitario – dal salone d’onore della Camera di Commercio di Napoli.
Libero il presidente Ciro Fiola di fare tutte le scelte e di accogliere tutte le proposte che vuole. Anzi, visto che ci siamo, ne avanziamo anche noi una, in linea col trend neoborbonico: cambiare il nome della pizza Margherita o almeno crearne una Maria Sofia, giusto per parare il colpo (tanto più che la principessa bavarese era di sicuro più fine e aveva le gambe più belle dell’avvenente mammà di Vittorio Emanuele III).
Ma due precisazioni sono obbligatorie.
La prima: Cialdini non volle alcun busto a suo nome. Semmai ne volle dedicare, a spese sue, uno a Cavour. Quindi il busto del generalissimo non fu un atto di megalomania ma una semplice dedica, come tante se ne facevano. Inoltre, non è provato ancora, checché ne pensino Di Fiore, Aprile e…. Ciano, che Cialdini fosse quel gran macellaio, quasi antesignano di Bormann, che certo revisionismo nutrito di gramscismo andato a male si ostina a raccontare.
Attacchino pure quanto vogliono gli accademici, lorsignori; tanto la sostanza non cambia: la storia devono farla gli storici e non i giornalisti o i tabaccai (a meno che questi non dimostrino di avere competenze reali), e le dichiarazioni pubbliche di GiulianoAmato a Pontelandolfo non possono prendere il posto di ricerche corpose e serie, già svolte o in corso, in cui non possono essere incluse le produzioni dei due giornalisti e del loro San Giovanni Battista di Gaeta.
La seconda precisazione è ancora più importante perché riguarda la sostituzione del busto di Cialdini con un’effige (ancora non si sa di che natura) della piccola Angelina Romano, su proposta di Fabrizio Luongo, il presidente vicario della Camera di Commercio.
Come ormai sanno anche i muri, grazie alla martellante propaganda revisionista e neoborbonica, Angelina Romano è la bambina siciliana morta a soli nove anni durante la repressione della rivolta antileva e antiborghese scoppiata a Castellammare del Golfo, nel Trapanese, il Capodanno del 1862.
Secondo la vulgata, sparata sul web e ripresa da più siti, la piccola sarebbe stata fucilata assieme ad altre cinque persone forse perché, come suggerisce Antonio Ciano nel suo I Savoia e il massacro del Sud, parente di qualcuno degli insorti o di qualche renitente alla leva. Un suggerimento da vagliare ma da non accogliere in nessun modo, perché, come tante cose scritte da Ciano (e riprese da vari revisionisti antirisorgimentali) assolutamente non provata.
Di certo c’è solo che Angelina Romano morì in località Falconera di Castellammare del Golfo il 3 gennaio 1862, in concomitanza di uno scontro a fuoco tra i militari e un gruppo di rivoltosi che, in effetti, furono passati per le armi.
Tra costoro, don Benedetto Palermo, un sacerdote di simpatie neoborboniche e reazionarie, sospettato di aver contribuito a fomentare la rivolta.
Torniamo ad Angelina: sappiamo della sua morte perché questa fu annotata dall’arciprete don Girolamo Galante nel libro dei defunti della chiesa madre di Castellammare con una formula allo stesso tempo ambigua e inequivocabile nel latinorum tipico delle pratiche ecclesiastiche:
«Romano Angela filia Petri et Joanna Pollina consortis. Etatis sua an.9 circ. Hdie hor.15 circ in C.S.M.E Animam Deo redditit absque sacramentis in villa sic dicta della Falconera quia interfecta fuit a militibus regis Italiae».
Il che, tradotto alla meno peggio, significa:
«Angela Romano, figlia di Pietro e di sua moglie Giovanna Pollina. Età, circa nove anni, alle quindici circa di oggi, ha restituito l’anima a Dio senza aver ricevuto i sacramenti perché uccisa dai soldati del re d’Italia nella villa Falconera».
Dunque: si sa che Angela è morta perché uccisa dai soldati. Ma non si sa il come, anche per il motivo che le fonti dell’epoca non concordano, come ha avuto modo di notare in un articolo un giovane studioso, Federico Palmieri.
Ad ogni buon conto, in nessuna fonte si parla di fucilazione per quel che riguarda Angela Romano. Di più: nessuna fonte coeva (Il Giornale Officiale di Sicilia, il medico Giuseppe Calandra) parla della fucilazione della bambina con la dovizia di dettagli di Ciano, che arriva a dire che la piccola giocava a Crì Crì quando si trovò coinvolta nella conflitto a fuoco, terminato effettivamente con le fucilazioni. Di più: non si sa se neppure se Angela fosse normalmente chiamata Angelina.
Il Giornale Officiale parla inoltre di sei fucilati, quindi Angela viene aggiunta alla conta dei morti solo dall’arciprete. Qualcuno ha tentato di coprire così una vergogna del Regio Esercito? Di sicuro il tentativo non è stato efficace, visto che la notizia è girata comunque, al punto che un sacerdote ha potuto annotarla in un registro pubblico.
L’incertezza delle fonti – che però sono dettagliate sulle altre fucilazioni precedute da un conflitto a fuoco piuttosto aspro – fa pensare a quella che nell’odierno gergo bellico viene definita casualty: una vittima collaterale, trovatasi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Morì a causa di una pallottola vagante oppure, secondo un’altra ipotesi, perché usata come scudo umano dagli insorti.
Ma anche quest’ultima ipotesi non è da accettare perché sembra un’esagerazione speculare e opposta a quella della fucilazione. La verità potrebbe stare nel mezzo e quindi la bilancia penderebbe per la casualty.
Già: i proiettili, specie nella fase concitata di un conflitto a fuoco gestito con le baionette di allora, non sono selettivi. Come non lo erano le palle dei cannoni: si pensi che le prime vittime del bombardamento di Messina ordinato da Ferdinando II furono una donna e il suo bambino. Come non sono selettive le armi intelligenti odierne.
In ogni caso quella di Angelina è una brutta forzatura della storia che rende superfluo ogni altro commento.
Ma peggio della forzatura, che già non fa onore a chi la compie, c’è la falsificazione, con cui si raggiunge la bassezza. Non temiamo di assumerci conseguenze nel definire una bassezza l’aver usato le immagini di due altre bambine (una amerindiana più il corpicino di una piccola vittima di una guerra mediorientale, probabilmente palestinese) per ricordare Angela Romano.
Già: chi abbia un minimo di competenze a livello fotografico sa che foto come quella utilizzata da vari siti web per ritrarre la piccola Angela da viva non potevano esistere nel 1862 e, se fossero esistite, non sarebbero potute arrivare a noi così ben conservate. Peggio ancora per l’immagine del cadaverino, di cui esistono versioni a colori.
E sarebbe il caso che anche i cosiddetti revisionisti prendessero le distanze da un uso fantasioso ma moralmente dubbio delle immagini altrui.
Ricapitoliamo: non è provato che il generale Cialdini sia stato un novello Bormann né è provato che Angela Romano sia stata fucilata intenzionalmente dai soldati guidati dal generale Pietro Quintini per sedare la rivolta di Castellammare.
È certo, invece, che Cialdini non c’entrasse nulla nelle vicende siciliane e quindi è impossibile cercare un nesso tra la sua azione militare (che si svolse nel continente e non sull’isola) e la morte della bambina.
Quel nesso che, se ci fosse, potrebbe legittimare la sostituzione del busto del generale con l’effige della bambina (di cui, tuttavia, non si conoscono le fattezze). Sempreché, ovviamente, prima si provi che Cialdini sia stato un comandante delle Ss avant la lettre.
Passi che certe storie (che in questo caso non definiamo panzane per il rispetto che merita una piccola innocente) se le bevano i politici di provincia del Sud, che scambiano i clic presi in rete per voti o almeno ci sperano.
Ma quando queste cose attecchiscono tra i rappresentanti di istituzioni prestigiosissime non c’è da stare allegri.
Di fronte a questi abusi, della storia e delle immagini, non aveva proprio torto Alessandro Barbero a parlare di fini immondi: già, per essi parlano i mezzi.
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Che pena di articolo. Studia, informati meglio. Pontelandolfo, Casalduni, non ti dicono niente. Questo articolo sembra scritto per assecondare una corrente di pensiero ed interessi particolari o scritto dallo storico torinese che, mentre parla dei morti fra i Soldati meridionali, ci ride sopra!
Noi studiamo, e Lei?
Saverio Paletta
Le vostre prove sono uguali a zero, si capisce solo che siete il braccio armato del sistema nordcentrico
Contento lei, contenti tutti.
Grazie a Saverio PALETTA per questo splendido articolo che smaschera una delle bufale che va per la maggiore. Come ha scritto un signore, nei commenti precedenti, anche nella Ricerca Storica uno non vale uno.
Grazie Saverio Paletta dell’eccellente e rigoroso lavoro che fate nell’affrontare le bufale che oramai da anni impazzano sul web riguardo a quel periodo travagliato della nostra Storia. Purtroppo il cosiddetto “cocktail della bufala” (1/3 fatti, 1/3 menzogne e 1/3 emotività per mandare giù il tutto senza farlo passare all’analisi della razionalità) funziona sempre e soprattutto in certi ambienti revisionisti, e di fronte ad esso solo una rigorosa ricerca ed attenzione alle fonti ha qualche speranza di avere successo. Grazie davvero.
Egregio Simone,
la ringrazio per le sue considerazioni, che ripagano ampiamente il nostro impegno.
L’IndYgesto ha una mission editoriale precisa: si rivolge a tutti ma non è per tutti. Noi cerchiamo lettori attenti come Lei.
A proposito di bufale: in rete ne girano troppe e su troppi argomenti. Spero solo di aver dato, col dossier dedicato al “revisionismo” neoborb, un’indicazione di metodo per quel che riguarda il debunking.
Noi difendiamo la corretta informazione e la buona storia e questo ci basta.
Grazie ancora per l’attenzione
Saverio Paletta
La casualità… mi ha portato a leggere questo articolo e tutti i commenti.
Se ho capito bene esiste un documento ufficiale redatto dall’arciprete don Girolamo Galante (anche se inserito non in ordine cronologico cosa che farebbe pensare ad un inserimento postumo) nel libro dei defunti della Chiesa madre di Castellammare. Mi accorgo che nella targa della via dedicata alla piccola Angela Romano si fa riferimento ad un’altra registrazione, e questa sarebbe conservata nell’archivio storico militare. Ecco mi chiedo, questa è consultabile?
Egregia Sabrina,
Ci fai la classica domanda dalle 100 pistole. Vengo al punto.
All’epoca della morte di Angelina faceva fede senz’altro l’anagrafe ecclesiastica, molto più attendibile, al Sud e in Sicilia, di quella civile. Perciò, nel dubbio, ho preferito la fonte religiosa, tra l’altro accreditata anche dagli storici locali, che parlarono della piccola Angela ben prima che i cosiddetti “revisionisti” trasformassero questa tragedia in un loro cavallo di battaglia o, come usa dire oggi, “trend topic”.
Ma la discrepanza di date e il ritardo dell’annotazione nel registro dei defunti relativi alla morte della piccola non sposta di una virgola la sostanza della vicenda: si sa che la bimba morì durante la repressione di una rivolta ma non si sa come è morta. E, comunque, non c’è alcun indizio che i bersaglieri l’abbiano passata per le armi.
Per quel che riguarda l’Archivio Storico dell’Esercito, è il caso di sfatare un’altra leggenda nera, propalata ad arte da “revisionisti” e neoborb: l’Archivio è accessibile.
Tuttavia, a causa di problemi logistici (poco personale e spazi angusti), tipici di quasi tutti gli archivi, la consultazione non è facilissima. Però da ciò a dire, come pure continuano ad asserire in non pochi, che l’Archivio è “chiuso”, “secretato” ecc., ne corre davvero: d’altro canto non esiste il segreto di Stato per vicende che si avvicinano ai duecento anni di storia.
Terzo dettaglio, su cui possono dare conferma gli archivisti: sulle stesse vicende spesso esistono più documenti, che in parte sono rintracciabili anche negli Archivi di Stato.
Il motivo è semplice, specie per quel che riguarda la lotta al brigantaggio: su di essa, oltre alle autorità militari, diventate predominanti in varie zone solo in seguito alla legge Pica, avevano competenza le autorità civili e di pubblica sicurezza. Quindi, le prefetture hanno prodotto altrettanti documenti dei comandi dei bersaglieri.
Stesso discorso per i documenti giudiziari.
Tutto questo per dire che nessuno ha nascosto o distrutto documenti e che, anzi, il problema italiano è l’eccesso di documentazione.
Si tratta solo di avere competenze e di armarsi di santa pazienza.
Grazie per l’attenzione
Saverio Paletta
Nella presentazione del suo sito lei testualmente scrive: “Tuttavia, è doveroso un avvertimento: L’IndYgesto non è un sito di cronaca, perciò la regola che impone di separare i fatti dalle opinioni non sarà osservata. ”
Non ho altro da aggiungere se non: si tenga le sue opinioni spacciate per cronaca
Egregio Vincenzo,
lo confesso: anche in questo articolo ho mescolato fatti e opinioni, per fornire ai lettori, nella maniera più documentata possibile, il mio modesto punto di vista.
Dato che ciò Le dà evidenti problemi di comprensione del testo (che tutto sommato mi pare chiaro) provvedo subito a eliminare l’equivoco.
Ecco cosa è fatto: la povera Angela Romano, stando a quel che riferiscono i documenti citati (gli unici esistenti e quindi disponibili) morì durante la “rivolta”, ma non si sa come e per mano di chi.
Ecco cosa è opinione: ho definito infame, e ribadisco con orgoglio l’aggettivo, attribuire la morte della piccola Angela (e non Angelina) a un plotone d’esecuzione, come riportano i revisionisti, e usare due foto false, rispettivamente di una piccola amerindiana e di un’altrettanto piccola palestinese, per illustrare questa fake.
Posso dirLe di essere orgoglioso di questa opinione?
E posso dirLe che reputo infamia questo modo di procedere?
Grazie per l’attenzione,
Saverio Paletta
Ps: tenga pure per sé le Sue lezioni di giornalismo: sono convinto che troverà altrove validi allievi. Qui non abbiamo orecchie per sentirle.
Mi scuso per i miei troppo frequenti interventi. Vorrei però segnalare tre questioni. 1. Gli archivi di Stato, dove è depositata gran parte della documentazione della quale qui si discute, registrano gravissime carenze di personale e di finanziamenti. Pensare in queste condizioni ad un’operazione di digitalizzazione e messa in rete di masse documentarie è una pura utopia. 2. L’uso della documentazione storica richiede almeno un minimo di competenze specifiche: l’idea che chiunque possa usare senza alcun problema documenti che vanno almeno contestualizzati e analizzati criticamente, tanto per farla semplice, è suggestiva ma fuorviante. Anche negli studi storici non è vero che uno vale uno. 3. La messa in rete di documenti non riesce comunque a soffocare polemiche perfino palesemente infondate. Sul “caso Fenestrelle” sono stati pubblicati molti documenti, eppure il mondo neoborbonico continua a ripetere imperterrito le sue giaculatorie.
Vista la sensibilità verso queste vicende, per quanto ormai lontane, sarebbe molto utile raccogliere ed organizzare in un sito, omettendo possibilmente commenti e valutazioni personali, le scansioni dei documenti rilevanti dell’epoca. Sicuramente sarebbe un bel lavoro, e oggi non dovrebbe essere troppo difficile per chi si occupa di queste materie in modo professionale. In questo modo, anche il pubblico meno esperto potrebbe più facilmente verificare se certe notizie sono documentate oppure frutto di versioni soggettive, romanzate, o -peggio- inventate. Né i siti neo-borbonici, ma nemmeno i loro antagonisti, che comincio a vedere in rete, sembrano andare in questa direzione, mentre tutti sembrano avere lo stesso tono polemico e da tifo da stadio, tipico delle discussioni che avvengono in questo paese. Peccato, sarebbe utile cominciare a vedere con un certo distacco certe vicende per poterne trarre una lezione utile anche per il presente.
Egregio Luka,
Nei nostri articoli citiamo regolarmente le fonti utilizzate, perché il nostro scopo non è la polemica fine a sé stessa ma la difesa dell’informazione corretta e della buona storia.
La sua richiesta è legittima. Ma la sua realizzazione non spetta a noi giornalisti, bensì agli archivisti professionisti (sia dipendenti di istituzioni pubbliche o private sia freelance).
L’ideale sarebbe un team di persone con competenze miste: come già detto, archivisti, storici, giuristi (il cui ruolo è spesso sottovalutato nel settore storiografico), tecnici informatici e webmaster e, perché no?, giornalisti.
Congegnata in questo modo, l’iniziativa darebbe davvero un valido contributo al dibattito pubblico e alla comunità scientifica.
Noi facciamo quel che possiamo coi nostri pochi mezzi per smantellare il cumulo di falsità affastellato in oltre dieci anni dai cosiddetti “revisionisti”, molti dei quali non hanno competenze vere e mestano nel torbido.
Certo, spesso non fanno meglio i gruppi “antiborbonici”. Ma mi permetta di spezzare una lancia in loro favore: parecchi di loro sono senz’altro dilettanti, però non posso che valutare in maniera positiva il loro impegno.
Già: ci vuole un bel po’ di coraggio per prendere posizione contro certi personaggi e gruppi che usano un linguaggio e metodi pesanti (e spesso violenti) per sostenere le loro falsificazioni. Anzi, il fatto che molti “antineoborb” siano dilettanti è un segnale positivo: significa che la nostra società civile è capace di produrre anticorpi a certe tesi e a certi modi di agire.
Grazie per l’attenzione e buon fine settimana
Saverio Paletta
Il signor Augello definisce Storici (con la S maiuscola) Ciano, Del Boca, Aprile. Peccato che proprio Roberto Martucci, che è l’unico storico citato e che probabilmente sporgerebbe querela contro chiunque volesse assimilare il suo lavoro a quello dei personaggi in questione, definisca costoro “amateurs che si rivelano poco connaisseurs”: i quali a proposito della “guerra per il Mezzogiorno come la definisce Carmine Pinto, “impazzano dando letteralmente i numeri, facendosi prendere la mano dal pathos stragista” come fa “l’incontenibile e gettonatissimo giornalista Pino Aprile” (cfr. R. Martucci, “La regola è l’eccezione. La legge Pica nel suo contesto”, saggio che si trova in rete dove, a saper cercare si trovano anche scritti di studiosi rispettabilissimi). Insomma, a voler essere generosi, quelli di Ciano, Aprile, Del Boca sono romanzi storici: e spesso di pessima qualità.
Caro Paletta, dia un’occhiata ai libri di testo in adozione nelle scuole e a come ormai con sempre minori reticenze si parli di come quella che ci hanno raccontato come “guerra al brigantaggio” sia invece stata “una vera guerra civile costata in termini di vittime un numero più alto di quello delle tre guerre d’indipendenza messe insieme e la mobilitazione di più di 120 mila soldati” e di come coloro che la Storia Patria ci ha raccontato come ‘briganti’ furono “contadini che, trucidati, seppelliti vivi, bruciati, vennero poi infamati con il nome di “briganti” da storici salariati “, secondo la definizione gramsciana. Sa qual è il problema, caro Paletta? Quello di cui parla Pino Aprile nel suo libro “La fine della Questione Meridionale”: la diffusione del web. Quella stessa a cui anche Lei deve parte delle sue fortune. Intendo dire che con la diffusione di Internet, è stato possibile attingere a quella messe di documenti che, infrangendo il monopolio della Vulgata, hanno permesso a ciascuno che lo volesse di formarsi una coscienza critica, passando al vaglio fonti e posizioni. È stata anche una fortuna per me e per tanti altri come me, dandomi la possibilità, come faccio ormai da dieci anni, di studiare e pubblicare. A me (Piemontese per metà) cui è anche toccata la ventura di avere un cugino torinese d.o.c. innamoratissimo della sua città, che ha lavorato per anni negli archivi della capitale sabauda, prodigo con me, ogni qual volta andavo a recargli visita, di informazioni e di giudizi chiari del tipo “NOI abbiamo fatto con VOI peggio di come è stato fatto con gli Indiani”, “ma” , aggiungeva non senza una malcelata punta di rassegnazione, “capisci benissimo che altri 150 anni non basteranno per potere parlare di queste cose. Sta all’intelligenza e al desiderio di verità di ciascuno di noi andarsele a cercare”. Parole testuali. Pronunciate più volte (insieme al racconto di orrori, talora per me inediti), l’ultima volta delle quali mentre ci trovavamo a tavola, presso un ristorante tipico sulla collina di Superga. Aggiungerei che cercare quelle verità ormai di dominio pubblico, caro Paletta, è dovere morale di chiunque (Piemontese, Calabrese o Siciliano) voglia trovare una risposta alla anomalia dello Stato in cui viviamo, le cui profonde differenze, unicum nel panorama mondiale, “a meno che non si voglia trasformare la Storia in Geografia” (per dirla con Marco Paolini) non possono che essere spiegate con una attenta analisi storica dell’accaduto. Tranne che Lei non voglia spiegare questa anomalia con un ritardo antropologico di matrice lombrosiana. Ma non credo proprio che Lei, Calabrese d.o.c., si voglia spingere a pensare ciò che un Torinese, altrettanto d.o.c. rifiuta di ipotizzare. Perché vede, caro Paletta, Lei può anche accusare di neoborbonismo, come fa, tutti gli Storici (da Di Fiore a Ciano, da Del Boca a Giordano Bruno Guerri, a Martucci, a tanti altri, passando per l’insigne Nicola Zitara, i cui ponderosi e complessi saggi di Economia ho avuto modo di studiare) che si impegnano in una dolorosa e difficile ricerca della verità. Lei può anche muovere, come fa, la medesima accusa di Neoborbonismo a Pino Aprile, a tutti quegli artisti (del cinema, del teatro, della canzone, delle arti figurative) che adoperando ciascuno il proprio linguaggio hanno contribuito con la loro denuncia a fare luce su quelle atroci verità di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze. Lei, come altrove fa, può anche estendere tali accuse all’allora Presidente del Consiglio Giuliano Amato, reo di avere recato omaggio (abdicando per un momento all’orgia retorica dei 150 anni) alla statua di Concettina Biondi, adolescente stuprata e uccisa dai Bersaglieri e di avere chiesto perdono a nome dello Stato italiano a Pontelandolfo, paesino del beneventano oggetto di una feroce rappresaglia nella notte del 14 agosto 1861. Luogo della memoria che ha ispirato l’omonima canzone degli Stormy Six, luogo dove sono stato come in pellegrinaggio, accompagnato e guidato dagli Storici locali che mi hanno fatto omaggio delle loro opere e messo a parte dei documenti dell’eccidio. Lei può accusare, come fa, di Neoborbonismo anche uno storico e scrittore di rara finezza e intensità come Carlo Alianiello, forse il migliore che abbiamo avuto nel secolo scorso, per coraggio nella denuncia, e per capacità di elaborare una prosa in grado di rapire il lettore. Lei può (se vuole) estendere questa accusa anche ad un regista come Anton Giulio Majano, che forse proprio per le ragioni che ho appena detto, scelse di sceneggiare per Rai1 nel 1959 “L’Alfiere”, il romanzo di Alianiello che rievoca il martirio dei 102 giorni di assedio di Gaeta e nel 1980 “L’eredità della priora”, un altro splendido romanzo storico di Alianiello che ha come sfondo la cosiddetta “guerra al brigantaggio. Lei, caro Paletta, se vuole può estendere le sue accuse di Neoborbonismo anche ai milanesissimi Stormy Six, e negare ciò che quelli come me hanno visto con occhi e documentato con la scrittura: dalla desolazione di Mongiana allo splendore delle locomotive del Reale opificio meccanico di Pietrarsa, da cui uscì il primo treno d’Italia. Lei può anche negare tutto ciò a chi non ne ha avuto esperienza, può anche estendere, se preferisce, le suddette accuse di Neoborbonismo pure a mio cugino, certamente più torinese di quanto Lei non sia Calabrese ed io Siciliano. Ma una cosa sola non può fare, se lo ricordi: fermare le idee di chi abbia sete di conoscere e di spiegarsi, quelle idee che corrono alla stessa, identica velocità del web. Quanto al prof. Barbero (da Lei indicato come referente principale delle sue idee negazioniste), protagonista qualche anno addietro di quell’infelice esibizione a Superquark in cui descriveva la terribile fortezza di Fenestrelle come una sorta di Luna park, le do un consiglio: a proposito della pubblicazione del Barbero con la casa editrice Laterza di un opuscolo negazionista su Fenestrelle (una sorta di chiodo fisso, parrebbe) cui lei fa cenno a sostegno delle Sue affermazioni, vada su YouTube a vedere il filmato in cui si può apprezzare la scena muta del Barbero di fronte alle incalzanti argomentazioni dello Storico De Crescenzo in occasione di un dibattito organizzato dalla Laterza nelle sue sedi, proprio in occasione della pubblicazione di quel libro, avente come oggetto giusto la fortezza di Fenestrelle. Anzi, le diro’ più: dal momento che il web non è negato a nessuno e non costa nulla, gliene faccio gentile omaggio inviandole qui il link. Buona visione. Cordiali saluti. https://youtu.be/QvPwhRhcRmY
Perchè continuate a chiamarla ” la fortezza di Fenestrelle”, era un campo di sterminio che non aveva niente da invidiare ai lager nazisti.
Egregio “Giagio”,
A Fenestrelle c’era una fortezza, mica un lager. Ciò è quel che risulta dai documenti ufficiali. Se Lei è in possesso di documentazione seria in grado di confutarli, la esibisca. Altrimenti taccia e vada a fare il troll altrove (tanto più che non ha il coraggio di firmarsi).
Buona giornata,
Saverio Paletta
Egregio Augello (mi scusino i lettori l’involontaria ironia…),
la netiquette Le avrebbe imposto di dimostrare una cosa: ho scritto o no sciocchezze nell’articolo che Lei commenta?
Invece, come usa molto negli ambienti culturali che Lei frequenta, divaga, anche in modo piuttosto non educato.
In questo articolo, che non ha avuto finora repliche convincenti (anzi, non ne ha avute affatto) ho smontato una vera e propria infamia: l’uso strumentale della tragedia della piccola Angela Romano. Già: converrà con me che speculare sulla morte di una bimba, con tanto di immagini false è infame, o no? Converrà che propalare bufale per seminare discordie inutili riaccendendo antichi rancori è una vera e propria porcheria, o no?
Vengo alle Sue divagazioni, che affronto in pillole.
La prima, e più importante, riguarda il concetto di Guerra Civile. Tecnicamente lo fu senz’altro. Ma questo non sposta di una virgola la questione, cioè non nega la legittimità della repressione militare del brigantaggio.
Uno Stato sovrano, tale era l’Italia del 1861, non è proprio la stessa cosa di un governo ombra (l’unica forma politica che potesse conferire legittimità alla guerriglia) collegato a bande criminali la cui unica dignità militare consisteva nella presenza di qualche sottufficiale sbandato dell’ex esercito duosiciliano.
Inoltre, anche alla luce delle più recenti acquisizioni storiografiche, la frasetta di Gramsci, che Lei come tanti altri cita a spron battuto appare priva di valore: non ci sono prove storiografiche che il brigantaggio fosse legato direttamente alla questione demaniale. Viceversa, ce ne sono troppe sui legami tra le bande e i grossi possidenti, usurpatori inclusi.
Lei cita Gramsci nella convinzione di esibire un’autorevole verità. Io, più umilmente, mi permetto di dire che quella frasetta non è altro che propaganda dal valore scientifico nullo.
Torno alla guerra civile: usare questo concetto può, al più, restituire qualche ragione (storica e politica) agli sconfitti dell’epoca e sminuirne qualcuna nel versante opposto. Ma non può capovolgere la storiografia che, Le assicuro, è tutt’altro che “di regime”:
i testi che cita Lei – e che ovviamente consultiamo senza bisogno dei Suoi consigli – non hanno fatto altro che recepire spunti da una produzione cinquantennale di ispirazione marxista e gramsciana in cui più che la storia si è fatta la controstoria del Risorgimento. Passi che una visione critica filtri nei testi più scientifici, in cui è giusto trattare la storia come il classico capello da spaccare in quattro. Ma questo non può passare nei testi destinati alle elementari e medie, dove si deve solo fornire un’estrema sintesi. Si fa così ovunque, anche in Francia dove la Rivoluzione viene celebrata per i più piccoli e criticata per i più grandi. Idem in Germania col Risorgimento tedesco, verso cui i toni critici sono più forti, per via del fil rouge che purtroppo porta da Bismark al nazismo. Non si dovrebbe fare altrettanto da noi?
A proposito del numero di morti: è chiaro che la repressione del brigantaggio produsse cifre più alte delle tre Guerre d’Indipendenza messe assieme, perché fu una guerra asimmetrica e “sporca”, come lo sono tutti i conflitti in cui la guerriglia endemica e strisciante prende il posto delle battaglie regolate dal diritto della vecchia “guerre en forme”. Due o più Stati in lotta miravano a vincere per regolare le proprie contese, mica a sterminarsi. Non così per lo scontro tra due parti di cui una, il neonato Regno, mirava a reprimere l’altra con una logica di polizia, e viceversa, la seconda mirava a sterminare la prima fino all’ultimo “invasore”.
Se le intenzioni dei combattenti erano queste, dovrebbe meravigliare un numero basso, non le attuali cifre accettate dalla storiografia, che oscillano tra i 15 e i 20mila caduti da ambo le parti e non sconfinano nelle cifre da genocidio sciorinate da non pochi “revisionisti”, nei casi migliori orecchianti e in quelli peggiori falsari della storia.
Fuori luogo, inoltre, il suo riferimento alla rete: i documenti si trovano negli archivi e finiscono in rete solo perché qualcuno ce li porta. Come facciamo noi.
Il resto sono chiacchiere perché studiare è una cosa seria.
A proposito di “fortune”: è vero, debbo dire grazie al web perché mi ha dato la possibilità di mettere a frutto le competenze acquisite in anni di lavoro durissimo senza passare per le forche caudine di editori di dubbia onestà. Il resto, mi creda, è il prodotto del sudore. Questo vale per me come per gli altri componenti di questo giornale.
Per il resto, La invito a leggere il corposo dossier, di centinaia di articoli, che abbiamo pubblicato in circa tre anni e mezzo: troverà tutte le risposte che desidera (o, se preferisce, gli spunti per arrabbiarsi come Le pare). Ma legga e non insista su questioni di lana caprina.
A proposito, infine, del “cuggino” (come direbbe Elio) di Torino: se è un autorevole studioso, faccia pure il nome. Altrimenti è un suo fantasma autobiografico.
Ultima battuta sul video del dibattito tra Barbero e De Crescenzo: siamo proprio sicuri che ’o professore le abbia suonate allo storico torinese? A me pare, francamente, di no.
La saluto e mi scuso per aver risposto così tardi a questa Sua, che mi ha inviato il Sabato Santo. Io le feste, a dispetto del Coronavirus, le ho santificate e sanificate…
Saverio Paletta
Giusto per essere pignoli – chi legge i miei libri sa che lo sono -, vorrei segnalare che la formula usata per la registrazione nel “Liber mortuorum” di Castellammare è quasi esattamente quella prescritta nel “Rituale Romano”, la formulazione standard alla quale dovevano attenersi tutti i parroci. L’inciso “In C.S.M.E.”, che talvolta crea difficoltà di interpretazione, va sciolto “in Comunione Sanctae Matris Ecclesiae”. Buon anno.
Grazie come sempre per la chirurgica precisione dei suoi interventi. Ce ne fossero pignoli come Lei!
Salve,potrei avere un link di riferimento rispetto alla foto a colori della bambina uccisa in medio oriente? Grazie
Basta cercare su Google.
[…] Angelina Romano, dalla tragedia alla bufala […]
Scusandomi per una partecipazione forse eccessiva, vorrei far notare due elementi singolari che emergono dall’analisi delle registrazioni del 3 gennaio 1862 nel “liber mortuorum” di Castellammare del Golfo: 1. le registrazioni sono numerate in sequenza. Quella relativa alla piccola Romano non lo è, ma è inserita tra la n. 12 e la n. 13; 2. se non leggo male, contrariamente a quanto si dice comunemente, l’indicazione della località dell’uccisione si trova soltanto nell’annotazione relativa a quella della bambina, manca in quella degli altri uccisi in quel giorno. Non li interpreto perchè non sono uno specialista, mi limito a segnalarli.
Grazie come sempre!