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La storia secondo De Crescenzo: tutta una furbata

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Il presidente del Movimento neoborbonico ha un metodo particolare: cita a caso e si appropria dei lavori altrui. Un bell’esempio di revisionismo…

Gennaro De Crescenzo, pirotecnico presidente dei Neoborbonici, ha deciso di rimettersi a sfruculiare la storiografia: fra una crociera e l’altra, si è prodotto in una pappolata piuttosto pesante sull’istruzione nel Regno delle Due Sicilie, pubblicata sul sito web di Pino Aprile.

Da sinistra: Gennaro De Crescenzo, Pino Aprile

Non ci dilungheremo troppo a illustrare il metodo seguito dall’insigne storico, archivista, giornalista nella redazione dei suoi saggi. Sarà sufficiente esaminare un passo della lectio magistralis del Nostro. Eccolo:

Ascanio Branca, potentino, ex comandante della «Brigata Lucana» di Garibaldi, assolutamente insospettabile di qualsiasi vaga simpatia borbonica, sottoponeva ai colleghi del Parlamento queste riflessioni: «Noi abbiamo fatto un censimento nel 1861… nel Mezzogiorno questa massa di analfabeti si è fatta elevare fino all’89 per cento. Ebbene, occorre verificare se questa asserzione, che spesso si ripete, e che io credo fallace, sia o pure no esatta». Il deputato friulano Gabriele Luigi Pecile intervenne nello stesso dibattito denunciando che quei dati potevano essere il frutto di un «equivoco» e auspicando che nei successivi censimenti si «escludessero dal conto i bambini e i lattanti i quali in nessun paese del mondo si calcolano tra gli illetterati».

A questo punto, il Presidentissimo inserisce una nota:

Archivio della Camera, Roma, Tornata del 24 marzo 1871; cfr. anche Pino AprileCarnefici, Piemme, Milano, 2016, pp. 383 e sgg.

Ovviamente i suoi turiferari prendono spunto da queste pseudo-citazioni per magnificare la grandezza del loro beniamino e la sua alta statura di ricercatore.

La prima sede della Camera dei Deputati

Andiamo per ordine.

Chi scrive si è più volte occupato di storia dell’istruzione nel napoletano fra Settecento e Ottocento. A un certo punto decise di indagare intorno alla questione dei dati sull’analfabetismo nel primo censimento postunitario. Frutto della ricerca fu un saggio pubblicato sulla Rete d’informazione del Regno delle Due Sicilie il 6 maggio 2015, che peraltro riprendeva il testo di una conversazione tenuta presso la Fondazione Gerardino Romano di Telese Terme, addirittura il 23 gennaio 2013. Ebbene: il sottoscritto passò i risultati del suo lavoro a Pino Aprile, perché li inserisse in Carnefici. Aprile, infatti, li utilizzò (e a questi si riferisce la citazione di De Crescenzo), ma si guardò bene dal nominare l’autore: pare che certo giornalismo usi fare così…

A proposito dei dibattiti che ebbero luogo nella Camera dei Deputati durante la discussione sul censimento del 1861, lo scrivente commentava:

Come se non bastasse, infine, le testimonianze degli uomini politici contemporanei ai fatti di cui stiamo parlando denotano spesso una certa sfiducia nelle metodologie di censimento all’epoca utilizzate, e a maggior ragione nei risultati da esse raggiunti. A tale proposito faremo menzione di due tra i molti esempi che potremmo addurre, entrambi tratti da una pubblicazione ufficiale postunitaria, ovvero i Rendiconti del Parlamento italiano. Sessione del 1870-71. Seconda edizione ufficiale riveduta. Discussioni della Camera dei Deputati. Volume secondo. Dal 22 marzo al 20 maggio 1871. Nella tornata del 24 marzo 1871, la Camera dei Deputati si trovò a discutere un progetto di legge per ordinare e regolare il secondo censimento generale del Regno d’Italia, dopo quello – appunto – del 1861. Nel corso della discussione prese la parola Ascanio Branca, potentino, ex comandante della Brigata Lucana sotto Garibaldi, assolutamente insospettabile di pur vaghe simpatie «legittimiste». Ebbene, a un certo punto Branca dice:

«Noi abbiamo fatto un censimento nel 1861, quando non tutte le provincie d’Italia erano riunite al regno, come lo sono ora. Si sono fatte le statistiche, si è detto che nelle tali e tali altre provincie ci sono tanti analfabeti, ci sono delle provincie appunto del Mezzogiorno, a cui io appartengo, in alcuna delle quali questa massa di analfabeti si è fatta elevare fino all’89 per cento. Ebbene, occorre verificare se quest’asserzione, che spesso si ripete, e che io credo fallace, sia o pure no esatta».

Poco dopo, nell’ambito della stessa tornata, il deputato friulano Gabriele Luigi Pecile rincara la dose:

«Nel censimento del 1861, si è rilevato che gli analfabeti ammontavano a 17 o 18 milioni, il che certo deve essere stato effetto di un equivoco, equivoco che fu anche rilevato dall’onorevole Messedaglia in occasione che [sic] presentò una relazione alla Camera.

Ciò avvenne per essersi calcolato il numero degli analfabeti sottraendo il numero di quelli che sanno leggere dal numero totale della popolazione.

Io non intendo di fare che una semplice raccomandazione, ed è che, nel procedere al nuovo censimento, si abbia cura di mettere nelle schede una colonna, nella quale appariscano chiaramente le persone che sanno leggere e quelle che no, ommessi [sic] i bambini ed i lattanti, i quali in nessun paese del mondo si calcolano fra gli illetterati. È cosa che disonora il nostro paese, il far figurare nelle statistiche un numero eccessivo d’analfabeti che per il fatto non abbiamo».

Pino Aprile

Mettiamo ora a confronto, in particolare, un passo tratto dal saggio di chi scrive con un altro, alquanto «simile», del pastone di De Crescenzo:

Nel corso della discussione prese la parola Ascanio Branca, potentino, ex comandante della Brigata Lucana sotto Garibaldi, assolutamente insospettabile di pur vaghe simpatie «legittimiste».

Ascanio Branca, potentino, ex comandante della «Brigata Lucana» di Garibaldi, assolutamente insospettabile di qualsiasi vaga simpatia borbonica, sottoponeva ai colleghi del Parlamento queste riflessioni.

Interessante, no…?

Insomma, cosa ha fatto De Crescenzo? Un bel copia e incolla di testi differenti (dello scrivente e di altri autori), corredati da note a dir poco imprecise che incoraggiano il lettore comune a pensare al lider neoborbonico come a un indefesso scavatore di faldoni e carte antiche. Infatti, nel caso in questione, si capisce che De Crescenzo avrebbe tratto le citazioni di Branca e di Pecile dall’Archivio Storico della Camera dei Deputati, e non dal volume a stampa delle tornate disponibile su Google Libri come, assai più umilmente, aveva fatto chi scrive.

Chi ha un minimo di dimestichezza con le fonti archivistiche se ne accorge subito: Archivio della Camera, Roma, Tornata del 24 marzo 1871 è una segnatura formalmente scorretta e senza senso quanto al contenuto. Di quale fondo dell’Archivio Storico della Camera dei Deputati si parlerebbe? di quale serie? di quale busta, fascio o faldone? di quale fascicolo?

Ma è palese che il pubblico cui si rivolge De Crescenzo è sin troppo di bocca buona: è un uditorio che si accontenta di ascoltare la solita favoletta dei piemontesi che «ci hanno vinti, ci hanno massacrati e ci hanno conquistati». Con tanti saluti all’onestà intellettuale e alla «verità storica»!

Riprenderemo prossimamente, su L’Indygesto, il tema dell’istruzione e dell’analfabetismo nel Regno delle Due Sicilie.

Intanto sarà ancora una volta il caso di riportare quanto ebbe a scrivere nel 1855, in un rapporto ufficiale, il consultore di Stato Emilio Capomazza, ultimo presidente del Consiglio generale della pubblica istruzione del Regno delle Due Sicilie, a proposito dell’istruzione pubblica nell’ultimo decennio preunitario. Servirà – ce lo auguriamo – a sbugiardare l’ennesima trovata della storiografia delle tre carte di stampo neosudista. A scanso d’equivoci, non essendo il sottoscritto presidente di alcunché, sia chiaro che la citazione seguente non è tratta da alcuna fonte primaria e inedita, ma dall’ancora validissima monografia di Alfredo Zazo del 1927, L’istruzione pubblica e privata nel napoletano (1767-1860), pp. 267-268.

«Da per ogni dove e forse esclusa la sola capitale, mancanza di oggetti scolastici: non un libro, non un foglio di carta, non un lapis, non un quadretto si dà agli alunni che quasi tutti sono sforniti di mezzi per provvedersene. Non poche scuole, poi, mancano fino degli scanni e delle tabelle per l’insegnamento del leggere e dello scrivere secondo il metodo normale. Che si direbbe poi se si sapesse che moltissimi maestri sono rimunerati peggio di una fantesca, ricevendo soldi meschinissimi che in taluni luoghi non oltrepassano i ducati dieci, o dodici all’anno? E se a tutto ciò si aggiungesse che il soldo del maestro e della maestra è per il primo ad invertirsi ad altro uso, ad ogni più lieve bisogno del Comune, anteponendosi il bene materiale al morale, chi non vedrebbe essere ben altra che la poca vigilanza o il niuno incoraggiamento, la ragione vera dello scarso frutto delle scuole primarie? E tutto questo senza tener conto delle intrusioni da parte dei maestri e talvolta dei sindaci, di sostituti abusivi per lo meno ignoranti e mai sempre non curanti dell’insegnamento. Spesso ancora ho rilevato che alcuni si procurino la nomina a maestri e non per insegnare essi direttamente ai fanciulli, ma per costituirsi un beneficio personale, ed incaricare altri per l’insegnamento, o con dividerne il soldo, o con darne una piccola frazione al maestro sostituto. In tal modo la scuola si tiene spesso da persone le più abiette e le meno capaci. In altri Comuni, poi, non esclusa la Capitale, i maestri municipali disimpegnano il loro ufficio con raro abbandono ed i genitori amano meglio mandare i loro figli ai maestri privati pagandone una mensile mercede, piuttosto che mandarli alle scuole pubbliche che sono gratuite e da tal ragione ne deriva la quantità immensa delle scuole private».

Lorenzo Terzi

Per saperne di più:

L’articolo di De Crescenzo sul sito web di Pino Aprile

L’articolo pubblicato da reteduesicilie.it

Il dibattito presso la fondazione Gerardino Romano

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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