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Civita, dopo la tragedia la resa dei conti

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L’inchiesta della Procura di Castrovillari sui fatti del Raganello promette fuoco e fiamme, ma si profila già lo scaricabarile tra i responsabili

Intanto il paese del Pollino, ancora sotto choc è in paralisi totale e dieci anni di boom turistico rischiano di andare in fumo

L’unica risposta seria è la regolamentazione rigorosa delle attività sportive all’interno del canyon che attira ventimila visitatori all’anno

Le tragedie hanno sempre un risvolto particolare: rivelano le falle dei sistemi. Così è stato per la bomba d’acqua spaventosa che il 20 agosto ha spazzato via dieci persone nelle gole del torrente Raganello, nel cuore del parco del Pollino, un selvaggio angolo di paradiso nel cuore della Calabria.

Dopo lo choc sono arrivate le polemiche, che nel profondo Sud raggiungono picchi di ferocia rara, soprattutto quando ai drammi si aggiungono le inchieste giudiziarie.

Raganello, i soccorsi dopo la tragedia

E quella annunciata dalla Procura di Castrovillari promette fuoco e fiamme, ma c’è il rischio che finirà un po’ alla calabrese: nessun pesce grosso nella rete e qualche grana alle sardine, in questo caso le guide superstiti e forse gli amministratori locali, per omicidio colposo.

Già: sin d’ora, a seguire i dibattiti tra le autorità, è facile intuire le linee difensive che terranno gli inquisiti, a partire dal sindaco di Civita, indagato certo nella sua qualità di responsabile della sicurezza, per finire ai vertici dell’ente Parco del Pollino passando per la Provincia di Cosenza, responsabile dei bacini fluviali.

Non sarà, o non sarà del tutto, responsabilità del Comune di Civita, nel cui territorio ricade l’accesso alle gole, perché, ha chiarito sin d’ora il primo cittadino, la tragedia non era prevedibile sulla base dell’allarme lanciato dalla Protezione Civile (che a sua volta prova a  deresponsabilizzrsi proprio perché ha lanciato l’allarme).

Non sarà, o non sarà del tutto, responsabilità del Parco, perché, ha spiegato il suo presidente, la sicurezza non è competenza dell’ente.

Non sarà, o non sarà del tutto, responsabilità della Provincia perché non c’è una chiara differenza tra il cosiddetto codice giallo e quello arancione.

Una gola del Raganello

A rimescolare le carte (e le responsabilità) è intervenuta un’ipotesi degli inquirenti: il torrente sarebbe esploso senza quasi il consueto preavviso naturale, cioè l’innalzamento graduale dell’acqua, perché sulla foce si sarebbe formato un “tappo” di detriti che sarebbe poi saltato di botto per la pressione, con i risultati catastrofici a cui ha assistito tutta l’Italia. Esiti che non sono stati più tragici forse perché l’escursione non era ancora entrata nel vivo o perché le guide sono riuscite a mettere in salvo la gran parte degli escursionisti.

Ma spiegare quel che è accaduto è un problema dei tecnici e degli inquirenti. Di sicuro non lo è dei media, che devono limitarsi a un resoconto si spera fedele, e non lo è più per le amministrazioni, se non nell’eventuale sede penale dove potrebbero rispondere per ciò che avrebbero potuto e dovuto fare e non hanno fatto.

Tutto lascia presagire uno scaricabarile spaventoso. Innanzitutto, il “buco” normativo, per cui non si capisce la differenza nelle intensità degli allarmi, poi il riparto delle competenze tra gli enti, tutt’altro che chiaro.

Nel frattempo, resta un problema di non poco conto: la Procura deve sequestrare obbligatoriamente gli accessi alle gole e Civita resterà paralizzata. Soprattutto, resterà paralizzata la sua economia vivace, basata su un esempio unico, al Sud e non solo, di turismo naturalistico e sostenibile.

Il rischio vero è che, finita l’inchiesta, il paesino albanofono potrebbe ritrovarsi in un mucchio di cenere e col classico cerino in mano, anche se tra i suoi amministratori e i suoi abitanti non spuntasse l’ombra di una responsabilità.

Un altro tratto del canyon del Raganello

Già: per chi amministra il problema, ora, è darsi da fare per regolamentare come si deve la pratica delle escursioni e il monitoraggio del bacino di questo torrente, diventato killer all’improvviso.

Tuttavia, è doveroso ricordare, sulla scia di quanto hanno già spiegato gli addetti ai lavori, che gli sport naturalistici non sono mai a rischio zero. Poi occorre ribadire che questi sport non sono per tutti: la natura è comunque imprevedibile e, come si è visto, non può bastare la bravura delle guide per evitare le tragedie.

Sciatta la Calabria, come si è detto per l’ennesima volta? Senz’altro. Ma, se le cose stanno così, allora sono sciatte anche le Regioni nei cui territori gli alpinisti e gli sciatori cadono come le mosche sotto le slavine e le valanghe, perché stavolta non reggono neppure i paragoni statistici: Civita e la porzione di Parco del Pollino che la circonda ospitano un flusso turistico di ventimila presenze annue, perfettamente equiparabile ai flussi delle zone alpine.

Delle due l’una: o finora questa zona è stata baciata da una fortuna sfacciata oppure la tragedia del Raganello è stata davvero l’esito di un caso imprevedibile.

In entrambi i casi c’è da chiedersi: è possibile che una sola vicenda tragica possa uccidere, oltre che le sue vittime dirette, un intero territorio, tra l’altro lasciato in pace persino dalla criminalità organizzata?

Ciò accadrà inevitabilmente se le amministrazioni interessante – tutte, incluso il Ministero dell’Ambiente – nel frattempo non saranno corse ai ripari con una normativa seria che stabilisca una catena di informazioni e di intervento, quella che nel caso di Civita è andata in tilt, e una gerarchia di responsabilità ben precisa.

Questo lo si può fare da subito, senza aspettare gli esiti dell’inchiesta, anzi augurandole un decorso il più veloce possibile, perché dieci morti non possono restare senza responsabili fuorché la natura, incolpevole per definizione.

Questo lo si deve fare perché non si parli più di sciatteria e nessuno possa chiamarsi fuori, come sin d’ora tentano di fare in tanti. Quando nessuno paga (o paga tardi), in realtà pagano tutti per lui. Ed è ciò che sta già capitando in quel bellissimo scorcio di Calabria.

Saverio Paletta

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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